Quando una storia è tanto, tanto famosa, spesso è più difficile fare silenzio nella testa e nel cuore e mettersi in ascolto. Ma quando si tratta di Peter Pan è assolutamente necessario farlo. 

Per quel che ne so di James M. Barrie, autore del racconto, i suoi amici prediletti e compagni di avventure sono i bambini e i poeti. Entrambi vengono, infatti, definiti dall’autore come «persone che non hanno mai veramente finito di crescere». Per comprendere nel profondo ciò che lui racconta, bisogna perciò tornare a pensare come i più piccoli del mondo: dunque poche astruse riflessioni orizzontali e più slanci di pensiero verticali. Domande che vanno dritte dritte in cielo senza troppi giri di parole, chiedendo alle stelle un’avventura più che una risposta. 

Peter Pan nasce prima di tutto come opera teatrale nel 1904. In seguito, dato il grande successo, l’autore decide di rielaborarla in due volumi: Peter Pan nei giardini di Kensington e Peter e Wendy. Come afferma, però, lo scrittore Francesco Cataluccio, i due libri non svelano realmente la figura inquietante di Peter Pan, la sua carica demoniaca, che traspare invece nell’opera teatrale.

Peter Pan non è un bambino vestito di foglie. È un demone con i denti da latte. Il nome Pan rimanda alla potenza selvaggia di quel dio Pan della mitologia greca, tanto cara al giovane autore, in cui la divinità in questione è raffigurata come metà uomo e metà animale. Peter Pan è definito, infatti, un traquestequello: metà uccello e metà bambino. La sua figura non intenerisce, spaventa. 

Si tratta di uno spirito libero. Un essere che entra nelle stanze dei bambini la notte, nei loro pensieri, e se ne va non appena sorge il sole, lasciando nient’altro che un’ombra come traccia del suo passaggio. Questa è addirittura capace di spaventare qualsiasi genitore intento a rimettere in ordine, la sera, le menti dei loro piccoli: quell’ombra rimane incastrata nei loro pensieri, come un desiderio minaccioso di libertà. 

Peter è il sogno dei bambini e l’incubo dei genitori. Rappresenta il ragazzo che decide di essere orfano, lasciando morire in lui tutto ciò che rischia di farlo crescere. Scappa di casa i primi giorni di vita e abbandona velocemente l’unica persona che abbia mai amato: sua madre. Il suo amore per lei è talmente forte da lasciarlo diviso dentro, tra il desiderio di tornare a casa da una parte e quello di rimanere eternamente bambino dall’altra. Lui sa bene che le due cose insieme non possono sussistere. Per questo, lascia passare tanto tempo e va a vivere con le fate: piccoli esseri la cui vita, dalla nascita alla morte, dipende dalla fede dei bambini. Un giorno decide di tornare dalla madre, certo che lei non lo avesse dimenticato. Ma ecco che vede la finestra sbarrata: accanto a lei, un altro bambino. Non ci può credere. L’unica persona che lo abbia mai amato è stata capace di sostituirlo. 

Da quel momento in poi, non avendo più un cuore – come tutti i bambini sperduti – non è più capace di amare nessun altro. Condannato a reprimere, per tutta la sua eterna esistenza, l’unico sentimento che abbia mai provato: la nostalgia di madre. Non conosce altra forma di amore se non quella. Molte sono le figure femminili centrali nella storia, da cui Peter cerca quel tipo di affetto. Tutte sono, in un modo o nell’altro, innamorate di lui. Peter Pan, però, non riesce a dare di più di quello che già conosce, non riesce a smettere di cercare sua madre in loro. 

Tutta la storia ruota intorno a questo desiderio innominabile, che abita il cuore di Peter. Nessuno può toccarlo, nessuno può accarezzarlo, nessuno può parlargli della madre. Quando conosce Wendy – una bambina che non vede l’ora di avere figli da accudire e a cui raccontare storie – decide di portarla con sé nell’Isola Che Non C’è. 

L’arrivo di Wendy nell’Isola rompe l’equilibrio che regge quel magico posto. La bambina assume il ruolo protettivo che hanno, nel regno animale, le madri con i loro cuccioli.
I pirati, infatti, acerrimi nemici dei bambini sperduti, sentono il pericolo del suo arrivo, tanto da far esclamare ad Uncino: «Il gioco è finito. Quei ragazzi hanno trovato una madre!». Lei è persino l’unica ragione per cui i bimbi sperduti decidono di abbandonare l’Isola. Nel momento, infatti, in cui viene loro promesso di poter avere una madre vera, tutta per loro, non esitano un secondo a voler tornare. 

Come sappiamo, però, Peter non ritorna. Continua a voler essere un bambino. La sua occasione di crescere l’ha persa ormai tempo fa. 

Questa storia non racconta l’eterna giovinezza come se fosse un elisir di lunga vita, un desiderio di immortalità. Peter non ha paura di morire. Anzi, è celebre il passo in cui esclama con il cuore in gola: «Morire sarà una grandissima avventura!». L’eterna giovinezza di Peter è una condanna, non una promessa di felicità. Lui è eternamente bambino perché non ha più un cuore che gli permetta di amare e, quindi, di crescere per qualcuno. La sua vita non ha un peso, così come il suo corpo. La sua figura è fuori dal tempo, al punto da non saper distinguere la fantasia dalla realtà. In lui niente scorre, niente crea una storia. Rimane un ricordo lontano e sempre più invisibile alle menti dei bambini che crescono, poiché solo i più piccoli riescono a vederlo. Le fate rimangono le sue uniche compagne di vita, le uniche che hanno il permesso di toccarlo. A volte porta nell’Isola Che Non C’è qualche bambina, ma soltanto per farsi aiutare nelle cosiddette pulizie di primavera, sempre nel segno di quella nostalgia di madre che spesso ritorna. 

La storia di Peter Pan non è altro che il racconto dell’amore tra una madre e un figlio. Di quanto questo amore sia potente, al punto da continuare a esistere nei ricordi di Peter anche senza il suo volere. Un amore che abita la mente di un bambino che decide di non voler più crescere e, di conseguenza, più vivere. Quell’amore in lui continua a esistere ossessivamente. È un’ombra incastrata nel suo non-cuore, che lo costringe a girare per i tetti di Londra, in cerca di una madre che sappia raccontare storie. Una madre che sappia prendersi cura di lui senza pretendere nulla in cambio, senza volere indietro i baci donati, come fa invece una donna innamorata. Una madre che finalmente riesca a sciogliere questa maledizione di eterno istante, facendogli vivere finalmente la più grande delle avventure, la vita. 

Di quel bambino non si è più saputo nulla. Eppure, un fatto è certo: ogni volta che una donna diventa madre, nel mondo un Peter Pan viene salvato. 

(Illustrazione di Hermine de Clauzade)

Libro consigliatissimo: J. M. Barrie, Peter Pan. Il bambino che non voleva crescere, (t. teatrale), con una introduzione di F. Cataluccio, (trad. it.) P. Farese.

Libro consigliato per le illustrazioni (che riprendono quelle originali): J. M. Barrie, Peter Pan (Nei giardini di Kensington e Peter Pan e Wendy), illustrazioni di A. Rackham e F.D. Bedford, (trad.it.) A. Scorsone.

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