Viviamo nel mezzo della modernità capitalista, il fulcro del neoliberismo, dove il centro è il denaro e non viene commercializzato solo con prodotti, ma anche con desideri, sentimenti, oppressioni, discriminazioni, lotte e identità.

In parole più concrete, nell’attuale assetto neoliberista, i movimenti sociali pro-diritti di popolazioni storicamente in situazione di marginalità, di persone subordinate e definite alterità, tipiche di una ragione antiegemonica contro il sistema-mondo contemporaneo, caratterizzati in parte dalla globalizzazione e dal marketing rapace, sono assimilati, cooptati e integrati nelle logiche neoliberali-moderne-coloniali del capitale e degli stati-nazione.

Il Femminismo usato come veicolo di commercio da Dior

Esistono diverse forme di cooptazione dei movimenti sociali, che, attraverso una strategia di sfruttamento business-state, traggono profitto dalle lacrime di gruppi e popolazioni in situazioni vulnerabili, appropriandosi delle contro-narrazioni di questi gruppi per dipingersi come Stati, aziende o istituzioni progressisti e promotori dei diritti umani.

NATO con la bandiera LGBT+
Burger King sponsor del Milano Pride 2019

In questa occasione mi limiterò a parlare dell’incorporazione lucrativa, che questi realizzano nel quadro del pensiero di un’economia di mercato e dell’immagine internazionale, delle rivendicazioni politiche dei gruppi di dissidenza sessuale e femministe, mi riferisco specificamente al pinkwashing e al purplewashing.

Queers Against Israeli Apartheid contro l’immagine di Israele che presenta iniziative LGBT+, mascherando in realtà l’apartheid nel suo paese

Cosa sono il pinkwashing e
il purplewashing?

Pinkwashing (lavaggio rosa) e purplewashing (lavaggio viola) sono manovre di marketing a fini strategici utilizzate da aziende, governi e altre istituzioni (chiese, scuole, università, ospedali…) con l’obiettivo commerciale o politico di vendersi pubblicamente come spazi femministi e a favore dei diritti delle donne (purplewashing) e spazi amichevoli e inclusivi per persone socialmente subalterne come la popolazione LGBT+ o la dissidenza sessuale (pinkwashing). Va chiarito che essere donna o LGBT+ non ti rende necessariamente un soggetto subordinato, l’imperialismo è incarnato anche dalle donne e dalle persone non eterosessuali.

Breast Cancer Action

L’uso del termine pinkwashing risale agli anni ’90, quando l’organizzazione Breast Cancer Action, negli Stati Uniti, lo utilizzava per criticare l’ipocrisia delle aziende che si dipingevano la faccia di rosa per sostenere la lotta contro il cancro al seno, senza intraprendere veri e propri lavori all’interno delle loro società, senza occuparsi del livello strutturale di questa situazione, poiché le loro reali intenzioni erano puramente commerciali. E in seguito questo termine è stato ripreso da gruppi di attivisti della dissidenza sessuale, per spiegare lo stesso fenomeno di sfruttamento da parte delle aziende, visto che utilizzavano un discorso neoliberista gayfriendly con le stesse intenzioni di appropriazione e sfruttamento commerciale.

Esempio di purplewashing con la lobby americana delle armi NRA

In relazione al termine purplewashing o violetwashing, questo emerge come una denuncia da parte dei collettivi femministi, come un modo per nominare il quadro delle strategie politiche e aziendali a fini di marketing che cercano di strumentalizzare alcune lotte femministe, usando il discorso liberale della uguaglianza di genere per spazzare via superficialmente l’androcentrismo senza impegnarsi in un vero sforzo femminista.

Il purplewashing è diventata una strategia di marketing standard. A pochi giorni dall’8 marzo, giornata internazionale della donna, organizzazioni e personaggi pubblici valutano come sfruttare la data per migliorare la propria immagine. Le campagne – testi, immagini e video – simulano empatia e sostegno alla lotta delle donne per l’uguaglianza e una vita libera da violenze e discriminazioni. Le organizzazioni finiscono per congratularsi con se stesse senza dover mostrare uno straccio di evidenza sull’importanza che danno davvero alle donne, senza assumere impegni concreti e misurabili con il movimento per l’uguaglianza di genere.

Come approfondire questi temi così urgenti? Con la lettura di un saggio femminista che vi consiglio caldamente: Femminismo per il 99%. Un manifesto di Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser (Laterza, 2019). Le tre autrici sono state tra le principali organizzatrici dello sciopero internazionale delle donne negli Stati Uniti, e nel saggio analizzano perfettamente queste due tematiche ipocrite a scopro di lucro, aiutandoci a comprendere la necessità di un nuovo movimento femminista internazionale.

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