Debutta in prima assoluta il 21 settembre alla Biennale Teatro di Venezia, Teatro Piccolo Arsenale,  I rifiuti, la citta’ e la morte di R. W. Fassbinder, una produzione Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, coproduzione TheaterDiscounter, in collaborazione con Barletti/Wass e ITZ Berlin. Ne parliamo con il suo regista Giovanni Ortoleva.

Scegliere oggi un testo di Fassbinder, quali corde lei fa risuonare con questa irrequieta contemporaneità?

Ricordato principalmente come regista scandaloso, è stato uno dei più grandi autori del novecento. La sua lingua è bruciante, attraversata in ogni lettera dalla necessità di essere data, detta, lanciata con violenza, passata come una piuma sul volto di chi ascolta. Scomodo, urticante, disperatamente pieno d’amore.
La sua attenzione alle evoluzioni della società contemporanea resta ineguagliata. Fassbinder è uno dei pochi autori che ha saputo parlare di denaro senza pruderie, avendo il coraggio di metterlo al centro del discorso. Vediamo oggi quanto il denaro sia l’unica cosa rimasta a fare da collante in una società orfana di valori. Raccontando la speculazione edilizia degli anni ’70, popolata di veri e propri gangster che lottano per la supremazia sulle città, Fassbinder ci fa capire su quali basi poggia il mondo che abitiamo oggi.

Questa drammaturgia fu oggetto di uno dei più violenti casi di censura del secondo novecento. Esiste ancora una censura nel teatro? E se sì, in che forma?

Probabilmente sì. Penso alla fatica che si fa a proporre un lavoro che non rientri all’interno delle categorie vendibili a un teatro; un classico, un monologo di impegno civile, una commedia. Penso alla difficoltà che si fa ad uscire dagli schemi, a scommettere su qualcosa di nuovo, che è però l’unico modo per mandare avanti il discorso. L’invito del direttore artistico Antonio Latella per questa Biennale è stato anche questo: proponi un lavoro che un teatro in genere ti rifiuterebbe. Ecco la scelta di un testo contemporaneo con 19 personaggi. Non posso non continuare a ringraziare la Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse per aver accolto la sfida.

Lei parla della scelta di un testo religioso e blasfemo insieme, in che termini questa cifra mista appartiene al lavoro della vostra compagnia?

I rifiuti, la città e la morte di Fassbinder è una passione di Cristo contemporanea e al femminile, e anche il mio precedente spettacolo Saul poggiava sulle sacre scritture, più precisamente sul mito del primo re d’Israele, usandolo per raccontare la paura del fallimento che attraversa la nostra società. Ciò detto devo fare un passo indietro di fronte alla parola compagnia, creatura mitica difficile da incontrare nella nostra era. Non ho una compagnia ma dei collaboratori che porto sempre con me, e che sono autori dello spettacolo al pari mio e degli attori. Marta Solari, scenografa e costumista, e Pietro Guarracino, musicista. Marco Cacciola, attore, è parte di entrambi i lavori, e spero lo sarà di tutti quelli che verranno. In questo lavoro ho riincrociato la strada di Edoardo Sorgente, con cui ho fatto il primo spettacolo Oh, little man, e ne sono estremamente felice. Insomma, la parola compagnia oltre a non essere corretta non mi piace molto perché dà l’idea di qualcosa di chiuso, col prato all’inglese e il filo spinato. Mi piace più pensare a una casetta persa nel bosco di cui tutte le persone con cui ho lavorato e sogno di lavorare hanno le chiavi.

I suoi attori lavoreranno  in una forma particolarissima, specialmente pop, vuole raccontarcela?

Quando ho letto il testo ho capito subito che il realismo non poteva trovarvi spazio. Ho seguito la didascalia con cui Fassbinder apre il testo, Sulla luna, giacché è inabitabile quanto la terra, anzi per meglio dire quanto le città, ed ho deciso di trasportare la storia in un mondo altro, da cui guardare il nostro pianeta. La scelta di una sfilata di moda, che potrà far storcere il naso agli addetti ai lavori, viene (oltre che dalla dimensione meta-rappresentativa del testo) dalla necessità di dire le parole di Fassbinder senza interpretarle realisticamente. Ho capito a un certo punto che le parole dovevano essere indossate come vestiti. Da lì è seguito tutto.

Quale biennale dopo il covid vi aspettate di abitare?

Mi aspetto di abitare una Biennale durante il Covid; necessariamente distanziata e meno agglomerante di quelle degli anni scorsi, che erano vere e proprie feste continue della visione e dell’incontro, necessaria quanto mai prima. Negli scorsi mesi abbiamo visto come il teatro e la cultura scivolino facilmente ai margini del discorso nazionale. Questo “Padiglione Teatro Italia” voluto da Antonio Latella risponde al vuoto con un’esplosione di spettacoli, autori, voci nuove o inaspettate. Sono elettrizzato di esserne parte.

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