Avete presente quel detto del posto giusto al momento giusto? Ecco, Rock Lit di Liborio Conca, edito da Jimenez Edizioni è stato il libro giusto al momento giusto. Il regalo inaspettato di un amico libraio: “leggiti questo – mi ha detto – sono sicuro che ti piacerà”. Aveva ragione. Una folgorazione, leggere e non voler smettere, procrastinare le altre cose, gli impegni, gli appuntamenti, perché ormai mancano poche pagine alla fine. 

Se siete appassionati di musica e di letteratura questo è il libro che fa per voi. Un saggio scritto magistralmente, tra citazioni, racconti, aneddoti e vite straordinarie. Ci sono le emozioni, il dolore, la paura, la gioia e l’amore, e tutti i sentimenti e gli stati d’animo che possono entrare nel registro di una canzone. Tecniche narrative e compositive, poetiche che dialogano tra di loro, interconnessioni tra generi. Non immaginatevi la solita manfrina sulla dignità letteraria delle canzoni, non è questo che interessa all’autore, ma piuttosto indagare come la letteratura abbia influito in quel processo creativo, “e questo – afferma Conca – può portare a risultati più o meno buoni, perchè se bastasse infilare un frammento di Vladimir Nabokov nel testo di una canzone… ecco, non funziona così”.

Il racconto inizia con un party newyorkese. Siamo nella metà degli anni ottanta, tra gli invitati ci sono Sting e Andy Summers, Frank Zappa, Patty Smith, Madonna e Lou Reed, sono tutti riuniti per festeggiare i settant’anni di William S. Burroughs, lo scrittore della controcultura americana e punto di riferimento di una serie sconfinata di artisti, da Bowie ai R.E.M., da Iggy Pop ai Nirvana di Kurt Cobain. Le vicende si intrecciano, i personaggi si incontrano, e ogni storia di questo libro è lo spunto per raccontarne un’altra. Così, da William S. Bourroughs si passa al Southern Gothic di Flannery O’Connor e Cormac McCarthy per poi volare in Europa con Kafka, Rimbaud, Oscar Wilde e Albert Camus. Ogni riferimento letterario richiama alla mente un universo infinito di canzoni di Vic Chesnutt, Morrisey, Robert Smith e ancora, Faulkner, Salinger e lo Steinbeck di Furore, Bruce Springsteen, Belle and Sebastian e Radiohead.

Un capitolo intero è dedicato a Leonard Cohen, che prima di mettersi a scrivere canzoni fu scrittore e poeta ma non viene tralasciato nemmeno Mr. Zimmerman. Proprio lui, Bob Dylan, il cantautore insignito nel 2016 del nobel per la letteratura, ha le idee chiare: “le canzoni non sono come la letteratura, sono fatte per essere cantate, non lette“.

In questa centrifuga di parole e musica, in questo gioco di rimandi e connessioni, ogni pagina richiama un romanzo, ogni pensiero riporta alla mente un album o una canzone e viene una gran voglia di rimettere sù quel vecchio cd di Pj Harvey o appuntarsi il nome di Breece D’J Pancake e correre in libreria per acquistare una copia della sua unica raccolta di racconti: The stories of Breece D’J Pancake. Pare fosse il preferito di Mark Linkous degli Sparklehorse e fonte di ispirazione per quelle atmosfere rarefatte tra realismo, magia e malinconia che scorre sotto la pelle. E poi, uno come un nome così, ma come fai a non averlo mai letto?

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