L’abilismo è un tema da poco trattato in Italia e rimbalza solo tra addetti al settore, per cui anche il registro linguistico è di tipo alto e lo stile è concettoso, difficilmente alla portata di tutti.
Inoltre è qualcosa di cui si tratta e si studia in ambienti femministi per cui è ulteriormente specializzato e perimetrato.

Invece l’abilismo andrebbe spiegato con parole piane, petrarchesche – cioè per tutti, perchè è un male che fiacca la società intera e va debellato.
Già la matrice linguistica anglosassone ci fa capire che è qualcosa di importato culturalmente – in America c’è tutta una tradizione di attivismo e quindi cultura collegata, che noi manco ci sogniamo. La traduzione pratica nella nostra cultura, invece, non è immediata e infatti l’abilismo da noi ha fatto capolino solo nel 2006. Nel 2019 è stato incluso come neologismo nell’enciclopedia Treccani.

Chi scrive ha fondato, dopo qualche anno di rodaggio in versione informale, un’associazione per la tutela dei diritti delle persone con disabilità, con l’intento non solo di combattere la discriminazione ottundente, che va a colpire la categoria, ma di operare anche un cambio culturale, di modo che la cosiddetta inclusione non sia solo un concetto astratto o tema di qualche ingessato convegno, ma si realizzi nella vita di tutti i giorni.

Non mettere uno scivolo all’ingresso di un ufficio pubblico. Non accettare in una palestra una persona con disabilità fisica. Offendere o deridere o ferire qualcuno usandolo come termine di paragone per una sua condizione fisica o mentale o sensoriale. Utilizzare un linguaggio non corretto o non rispettoso. Portare fuori dall’aula lo studente con disabilità isolandolo nella stanzetta H. Tutte pratiche abiliste.
L’abilismo sta alle persone con disabilità, così come il razzismo sta alle persone di colore o non bianche/caucasiche/etc. o il sessismo sta alle donne.

L’abilismo è praticato in ogni settore della vita, in ogni fascia anagrafica e per ogni genere: pensate ai parchi gioco, quanti ne esistono di accessibili? Pensate agli impianti sportivi o natatori. Pensate ai teatri, ai cinema, agli stadi, dove si fanno i concerti (a proposito, ecco la petizione per rendere i concerti accessibili a tutti).

Pensate alle scuole. Pensate ai negozi. Pensate agli hotel e alle strutture ricettive in generale. Pensate ai trasporti pubblici. Pensate al mondo del lavoro: quante sono le persone con disabilità che lavorano? E come? In quali settori? E con che tipo di contratti? Vi basti sapere che, per legge, le aziende sono tenute ad assumere una quota disabile, ma preferiscono pagare la multa, piuttosto.

La pratica abilista più grande, però, è quella in campo amoroso: le persone con disabilità sono esautorate dal poter amare ed essere amate, sia spiritualmente che in senso biblico. Fateci caso.
Anni fa rimasi infastidita dal resoconto scritto in un blog su un autorevole quotidiano nazionale: in uno stile di quelli che ti inculcano magari nelle scuole di scrittura, era descritta la disavventura comica di un ragazzo tetraplegico, sorpreso dalla polizia in un appartamento, durante un rendez vous con una professionista del sesso.

L’amore mercenario è quello che troviamo anche ne Il figlio della luna, film che racconta la vita del fisico Fulvio Frisone o che abbiamo visto in Quasi amici. Il ricorso al sesso a pagamento, se sei disabile, pare essere l’unico modo per soddisfare un’esigenza connaturata al nostro essere, che non è un diritto sancito dalla costituzione ma è un bisogno umano.

In un Paese dove ancora si fa fatica a riconoscere che ci si può amare tra persone dello stesso sesso, per i genitori con figli disabili è stato difficilissimo trovare altre soluzioni, per quanto alcuni continuino a provarci. Vi lascio immaginare che cosa sia per le persone disabili se autonome avere una vita di relazione, sentimentale e sessuale.
A volte viene fuori un tentativo di agenzia di incontri ma è qualcosa di molto pericoloso, se non è gestito da persone che hanno una formazione adeguata.

Abbiamo un disegno di legge, giacente addirittura dal 2014, che chiede di riconoscere gli assistenti sessuali e abbiamo un’associazione onlus, la Lovegiver, che sta battagliando perché questi operatori siano riconosciuti.

San Valentino si appressa e così, come tutti gli anni, siamo inondati di messaggi e spot e bombardamenti mediatici in cui tutti festeggiano l’amore. Tutti tranne le persone con disabilità. Sarà per questo forse che Armanda Sarvucci ha pensato di organizzare la sua bellissima mostra-concorso Sensuability – ti ha detto niente la mamma? di cui ci ha ben raccontato la collega Rewriters Francesca d’Onofrio.

Consiglio altri due film, da vedere assolutamente per aiutarvi a comprendere ciò che, in 5400 battute – spazi inclusi – devo raccontare: Si può fare del 2006, poetico, struggente e pedagogico.
The session del 2012 che vi aprirà un mondo sulla differenza che c’è tra il nostro Paese e quello anglosassone. Entrambi tratti da storie vere.

Abbasso perciò l’abilismo, evviva l’amore tra le persone e buon San Valentino a tutti-tutti.

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