Che paura fanno le fiabe se sono Arcobaleno? Due libri che fanno discutere
Due libri di fiabe per bambini stigmatizzati perché accusati di deviare i bambini dalla normalità. Eppure quei libri aiutano a crescere più sereni.
Due libri di fiabe per bambini stigmatizzati perché accusati di deviare i bambini dalla normalità. Eppure quei libri aiutano a crescere più sereni.
Nei giorni scorsi mi ha incuriosito una vicenda che mi ha risvegliato ricordi che pensavo fossero sommersi. Nella puntata dell’8 gennaio scorso di Oggi è un altro giorno, Serena Bortone ha invitato Emma Dante, una delle più apprezzate autrici teatrali e cinematografiche contemporanee.
Argomento dell’intervista è stato la pubblicazione, per La nave di Teseo, del nuovo libro di Emma Dante E tutte vissero felici e contente, una rivisitazione di alcune fiabe classiche che l’autrice aveva inizialmente pensato per il teatro.
Nel corso della trasmissione, la Dante, spiegando un po’ l’operazione di rilettura ai fini della demolizione di alcuni pregiudizi di genere insiti nelle fiabe stesse, annunciava che Rosaspina, la bella addormentata, alla fine della fiaba veniva sì svegliata da un bacio d’amore, ma da parte di una principessa e non di un principe, e a seguire che Pinocchio è un essere ermafrodito.
Nei giorni successivi, alcune voci (in primis l’Associazione Genitori Scuole Cattoliche dalle pagine di Avvenire) si sollevavano per stigmatizzare l’intervento della Dante avvenuto in fascia protetta e sul principale canale televisivo generalista: RAI 1. Secondo queste voci, l’operazione di riscrittura di alcune fiabe da parte di Emma Dante sarebbe colpevole di “colpire l’istituto famigliare” confondendo l’identità sessuale dei bambini “con le favole revisionate secondo concetti gender”.
Nel seguire con stupore questo episodio, sono emersi, appunto, dal profondo della mia memoria episodi recenti e remoti.
In primis, gli attacchi ricevuti dalla casa editrice Lo Stampatello, ideata da Francesca Pardi e Maria Silvia Fiengo, coppia nella vita e mamme di tre ragazzi e una ragazza, per promuovere un catalogo di prodotti editoriali, fiabe per l’infanzia, in cui ogni famiglia sia prevista e raccontata. Libro chiave del catalogo, Piccolo Uovo scritto dalla stessa Pardi e illustrato da Altan, che inizia così:
“Piccolo uovo non voleva nascere. Non sapeva dove sarebbe andato a finire. Aveva sentito parlare di famiglia, ma non sapeva cosa voleva dire. Così decise di andare a vedere… Voi siete per caso una famiglia? Si! risposero in coro mamma, papà e i tre coniglietti. Anche la mia sarà così? Chi lo sa, ci sono talmente tanti tipi di famiglia… Piccolo uovo decise che voleva conoscerle tutte”.
Piccolo Uovo è stato minacciato di essere arso al rogo a Milano, di essere ritirato da biblioteche e scuole materne a Venezia, con l’accusa di deviare i bambini rispetto alla normalità. In quegli anni nasceva la nostra prima figlia, e quegli attacchi a Lo Stampatello riguardavano anche me, noi.
Oltre questo ricordo recente, mi sono rivisto con prepotenza adolescente negli anni ‘80, quando ho scoperto di essere gay. La cosa mi terrorizzava perché, nel mio piccolo mondo antico, essere gay non era previsto né da me né dagli altri. Ho vissuto anni di disperazione, in cui cercavo di capire chi ero, che nome dare al mio desiderio, a miei innamoramenti. Anni ancor più duri perché, essendo credente, per me essere omosessuale significa una sola cosa: andare all’inferno.
Ho cominciato ad andare alla ricerca disperata di informazioni, modelli, libri. Ma ne trovavo pochi e nulla. Mi sentivo solo, perduto, dannato e condannato.
Ero incapace di vivere quello che vivevano i miei coetanei: gli amori dell’adolescenza, le lacrime, le risate, il cazzeggio. Negli anni ’80 sentivo parlare di omosessualità nei media solo come macchietta, o sessualità nascosta e rubata o come HIV. Mi sentivo fuori del tutto da quella narrazione.
Ricordo che cominciai a uscire da quel tunnel solo quando, da musicofilo e cinefilo incallito, mi impadronii dei testi che Morrissey scriveva per The Smiths e mi cominciai ad immedesimare nei protagonisti di Maurice, Another Country, My beautiful Laundrette. In quella narrazione ritrovavo pezzi di me stesso che cominciavano ad uscire alla luce del sole.
Ecco, penso a quanto sarebbe stato tutto più facile se, da bambino, avessi letto almeno una favola in cui ci fosse stato un protagonista gay, o un libro in cui si raccontasse una normale storia d’amore tra due ragazzi: avrei vissuto più serenamente la mia adolescenza che, tirando le somme, ho vissuto forse solo a metà.
Per gli adolescenti di oggi, trovare modelli, narrazioni in cui si possano rispecchiare non credo sia più un problema: le serie tv, soprattutto quelle americane, ci hanno abituato a una raffigurazione inclusiva e diversificata delle realtà esistenziali, gay, lesbiche e trans inclusi.
Ancora limitata, invece, la produzione di storie plurali per l’infanzia a causa della (secondo me errata) percezione che possano condizionare lo sviluppo del bambino.
Ben vengano, dunque, libri come quello di Emma Dante a inserire nella narrazione generale, quindi anche in quella dell’infanzia, esempi di vite omosessuali.
Questo non farà diventare omosessuali i bambini che non lo sono. L’omosessualità non è un virus o una moda. Farà semplicemente crescere più sereni i bambini che sono omosessuali, li inserirà in un contesto in cui anche loro, anche la loro affettività, è prevista e riconosciuta e non stigmatizzata e, infine, aiuterà i loro genitori a non vivere il coming out dei figli come una condanna.