«Lavoreremo un giorno di meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno di più». La promessa di un famoso politico sui meriti dell’euro riemerge ancora, a venti anni dall’adozione, come se fosse adesso.

Sono stati due decenni in cui la moneta unica ha superato diverse crisi, ma che l’hanno vista comunque affermarsi come seconda divisa del mondo, dietro solo al dollaro americano. Era il primo gennaio 2002 quando i cittadini italiani hanno toccato con mano per la prima volta questo tanto atteso euro, che valeva ben 1.936,27 lire e che ha richiesto molti mesi di aiuti da parte di convertitori, doppi prezzi esposti e molti casi di prezzi rivisti al rialzo.

Si è trattato del più poderoso cambio di valuta della storia dell’umanità, capace di coinvolgere centinaia di milioni di persone. Oggi l’euro è la moneta di oltre 340 milioni di persone in 19 Stati membri dell’UE. Eppure, dopo vent’anni, continuiamo a “non avere una lira”.

La lira e le sue banconote riportano alla mente frammenti di storia e di vita, momenti della storia d’Italia segnati proprio dalla lira. C’è chi ci acquistò i biglietti per l’America, o quelli dei treni per andare a cercare fortuna al nord. Con la lira sono arrivate le prime televisioni, i primi dischi, la prima automobile. Sigla di quel mondo (che per chi è nato dal 2000 in poi è praticamente sconosciuto) c’era la canzone se potessi avere mille lire al mese.

Ma ci siamo mai davvero chiesti chi fosse quella vecchia signora raffigurata sulla banconota delle mille lire e che cosa rappresentasse per la nostra cultura? Era Maria Montessori, oggi nota soprattutto per il suo metodo pedagogico ormai applicato in tutto il mondo, frutto di anni di studi e di sistematica applicazione, ma questo è solo uno dei suoi innumerevoli meriti.

Sin dalla scelta dei suoi studi universitari, nel 1892, la strada di Maria Montessori fu segnata dalla più totale indifferenza nei confronti della società patriarcale dell’epoca, che osteggiava ancora ogni tipo di indipendenza pretesa dal genere femminile.

Basti pensare alle norme cui lei stessa era sottoposta per avere il permesso di frequentare il corso della Facoltà di Medicina della Sapienza di Roma, una delle quali era l’obbligo di svolgere la pratica di anatomia sui cadaveri in orario notturno da sola perché, per questioni di decoro, una donna che condivideva la presenza di un corpo nudo in una stanza assieme a degli uomini (sebbene studenti di medicina) era infatti motivo di scandalo inaccettabile per l’università di allora.

La Montessori iniziò così un duplice percorso: da una parte l’impegno a sostenere l’idea che l’educazione (e la scuola soprattutto) fossero fattori fondamentali per la crescita e lo sviluppo sociale, dall’altra quello che poneva in evidenza un modello di donna nuova consapevole delle proprie capacità e meritevole di pari diritti e pari dignità.

I problemi affrontati dalla giovane Montessori 150 anni fa erano, in parte, gli stessi di oggi: difficoltà a entrare negli ambienti dominati solo da uomini, differenza dei salari, scelta tra lavoro e maternità, indipendenza economica, leadership femminile.

Eppure la maschilista Italia è arrivata prima, almeno per una volta. A dire il vero furono scelte propagandistiche, però possiamo comunque vantare Maria Montessori come protagonista delle nostre ultime lire.

«Caro presidente, ti scrivo per sapere perché non ci sono donne sulle monete o sulle banconote degli Stati Uniti. Credo che dovrebbero esserci perché senza donne non ci sarebbero uomini». Sofia, dal Massachusetts, a nove anni (e con le idee molto chiare) ha inviato a Barack Obama questa lettera nel 2015. Sofia a nove anni già credeva nella parità, perché nel suo cervello non c’era alcuna differenza tra un avvocato e un’avvocata, un senatore o una senatrice, un maestro o una maestra.

Il Fondo Monetario Internazionale ha invitato, negli ultimi anni, gli Stati a femminilizzare le banconote facendo notare come siano rare le donne onorate dalla stampa della propria effigie su un biglietto di banca. Quando si tratta di soldi, è un mondo di uomini: un commento che non appare affatto scontato.

In Francia, dove il divieto per le donne di portare i pantaloni è stato formalmente abrogato solo nel 2013, sino al 1938 le mogli non potevano richiedere una carta d’identità o un passaporto senza l’autorizzazione del marito, perché considerate giuridicamente incapaci.

Sino al 1965 l’autorizzazione maritale era necessaria anche per sottoscrivere un qualsiasi contratto di lavoro o aprire un conto corrente bancario a proprio nome. Oggi nel mondo, secondo il Global Findex della Banca Mondiale, solo il 65% circa delle donne dispone di un conto corrente, contro il 72% degli uomini.

Il problema non riguarda solo i Paesi meno sviluppati: in Italia le donne a non possedere un conto bancario a proprio nome sono 1 su tre. Percentualmente possediamo meno ricchezza e meno denaro degli uomini e delegare la gestione delle finanze familiari al partner viene considerato normale, sottovalutando i rischi di un simile comportamento.

E purtroppo, non posso che confermare questa amara verità. È la prima volta in cui, cercando su Google Patents non sono riuscita a trovare brevetti di donne legati alla materia dei soldi, delle monete o delle banconote.

Eppure nel mondo globale le donne stanno guadagnando punti: risparmiano di più, si indebitano meno, i loro depositi crescono del 14% rispetto al 9% degli uomini. Insomma sono una fetta di mercato (36%) molto interessante.

Le percentuali vengono fuori dal rapporto The economics of banking on women, basato sui dati dell’associazione no profit Gba – Global banking alliance for women. Riguardano 25 banche di 23 Paesi che toccano oltre 32 milioni di clienti donne. Pur con difficoltà, l’indubitabile aumento della ricchezza femminile è legato all’avanzata nel mondo del lavoro.

Soldi, soldi, soldi. Non è solo la canzone di Mahmood. Il femminismo ha questa unica rivendicazione. Perché oggi paga pantalone sì, ma con paillettes fucsia.

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