Negli ultimi mesi abbiamo affrontato diversi argomenti legati al mondo del lavoro, sempre partendo dalla prospettiva dei dipendenti: Great Resignation, smart working, salario minimo per citarne alcuni.

Come vivono invece le aziende il cambiamento lavorativo e tecnologico in atto? Ne parliamo con Sara Lodi, head of strategic marketing & business development del progetto Interacta e precedentemente responsabile marketing dell’azienda Injenia, tra le prime realtà nel nostro Paese nel fornire consulenza e soluzioni professionali alle aziende per semplificare la transizione digitale.

Quali sono i principali ostacoli che incontrate come innovatori tecnologici coi di Interacta?
Purtroppo, c’è ancora poca cultura dell’innovazione nel nostro Paese. L’imprenditoria italiana manifesta una certa resistenza al cambiamento e, alle volte, vera diffidenza. Quando si parla di innovazione si pensa ad un intervento invasivo, sia in termini economici che dell’impatto sull’organizzazione aziendale, sulle persone, sui processi. Le aziende temono di disgregarsi, di imbarcarsi in qualcosa che non riescono poi a gestire in termini finanziari e di organizzazione interna. Tematiche che vengono smentite nella pratica, se alla base esiste uno studio solido, capace di stabilire anche la corretta velocità da seguire per rendere efficace il cambiamento.

Le realtà imprenditoriali italiane sono molto diverse sia per settore, che per dimensione: tantissime piccole-medie imprese o aziende artigiane, pochi i grandi gruppi. Qual è il profilo aziendale tipo dei vostri clienti?
Non esiste. I nostri clienti sono assolutamente trasversali, sia per settore sia per dimensione. È ovvio che cambia il tipo di progetto: solitamente una PMI cerca un’innovazione tecnologica legata alla collaborazione o a una miglior gestione interna, le grandi aziende spaziano verso progetti anche più spinti.

Le aziende che decidono per la digitalizzazione sono sempre coscienti di quali siano le loro criticità interne e i loro margini di miglioramento?
Faccio un esempio pratico: spesso ci vengono chieste soluzioni di machine learning (sistemi di intelligenza artificiale in grado di elaborare previsioni partendo dall’analisi dei dati, NdA), senza aver ben chiaro come applicarle, o quali obiettivi raggiungere. Come se l’innovazione dovesse essere fine a sé stessa. Analizzando nel dettaglio la specifica situazione interna ci rendiamo conto che prima di arrivare a proporre una soluzione tecnologica bisogna impostare un percorso a ritroso che renda l’azienda stessa capace di sostenere lo strumento, lavorando su dati, processi, bisogni, persone. Da questo, si sviluppano i nostri progetti.

Quali sono le criticità più comuni che rilevate nelle aziende?
Sicuramente la principale è lo scollamento tra comunicazione e processi. Sembra una banalità, ma portare innovazione tecnologica senza ragionare sulle persone e sul loro modo di lavorare, sui processi attuati e sul modo in cui circolano le informazioni, non dico sia inutile ma sicuramente incide molto sul risultato finale. Questo è uno dei motivi per cui è nata Interacta.

Interacta: da prodotto è diventato un manifesto, centrato sul concetto di interazione naturale. Uno dei fondamenti dice che “nel lavoro, le comunità non si sviluppano in maniera spontanea e naturale”. Una visione che sembra in linea con un grande tema attuale, quello degli ambienti lavorativi tossici, vessatori. Come lavorate per contrastare questo trend negativo all’interno delle aziende?
Partiamo dalle persone. Può apparire uno slogan buonista o studiato per il marketing, ma gli ambienti tossici, disfunzionali o non efficienti (a seconda del punto da cui vogliamo guardarli), si creano quando le persone non vengono messe al centro, quando invece sono la chiave di ogni attività produttiva: sono loro che detengono la conoscenza. Valorizzare le risorse, i talenti, lo scambio positivo di informazioni, la trasparenza, i valori, aiuta ad evitare che si creino degli ambienti tossici. Il tema della great resignation è assolutamente centrale e le aziende devono affrontarlo, per non subirlo.

Non si può evitare di considerare la felicità delle persone e la work-life balance.

C’è poi un altro tema molto importante: la tecnologia funziona bene quando è ben indirizzata, arricchita dalla conoscenza delle persone. In futuro ci saranno sempre più tecnologie e intelligenza artificiale, che renderanno le persone sempre meno impiegate nella mera esecuzione di un compito, chiamandole piuttosto al ragionamento, a prendere decisioni. Se non mettiamo le persone in condizione di prendere delle decisioni, non potranno fare bene il proprio lavoro e di conseguenza rispondere a quelle che sono e saranno le esigenze aziendali.

Sempre nei fondamenti si dice che “nel lavoro, felicità e realizzazione personale si raggiungono quando le persone creano legami positivi e comunità a cui sentono di appartenere”. Come sarà possibile trovare un equilibrio relazionale con strumenti come lo smart working, ultimamente definiti da alcuni decisionali come eccessivamente alienanti?
Credo innanzitutto che non si possa fermare una corrente così forte. Le aziende che si ostinano a non capirlo sono le prime a subire il fenomeno delle dimissioni. C’è poi anche qui un risvolto poco dibattuto: tutto il mercato del lavoro sta subendo un enorme cambiamento, che amplia enormemente lo scenario delle possibilità, anche rispetto a soli due anni fa. Vediamo in prima persona colleghi che iniziano nuovi percorsi lavorativi con aziende negli USA o in Asia restando in Italia, in remoto. Per questo sono sicura che lo smart working è qui per restare.
Riguardo all’alienazione che ne può derivare, bisogna lavorare con gli strumenti giusti per mitigarla. Si tratta anche qui di uno sforzo congiunto: è chiaro che se si delega tutto al sentirsi via email o con qualche videocall non si raggiungono obiettivi nella creazione di un senso di comunità. C’è un lavoro da fare che è più profondo: la reale e trasparente condivisione delle esperienze e della visione aziendale. L’obiettivo finale, per cui noi per primi come Interacta lavoriamo, è che le informazioni circolino virtualmente in maniera strutturata ma, allo stesso tempo, in maniera naturale, come potrebbe accadere nelle pause caffè in ufficio. Se si raggiunge questo risultato, questa coesione, trovare un equilibrio e sostenere lo smart working è assolutamente possibile.

Un’ultima domanda, legata alla tua esperienza. Uscendo dalla solita retorica, come vivi i preconcetti legati all’essere una figura femminile in un ruolo decisionale? Pensi che possano essere superati grazie ad una maggiore integrazione tecnologica aziendale, oppure sia necessario lavorare su strumenti legislativi (equiparazione salari, congedo parentale condiviso) per poter effettivamente guardare oltre le questioni di genere sul lavoro?
È una domanda immensa. Sicuramente c’è tantissimo da fare a livello istituzionale, in merito all’incentivazione femminile nel mondo del lavoro, anche a livelli alti. Non basta la flessibilità oraria che può derivare dalla tecnologia, ci sono molti altri aspetti che devono essere attentamente ragionati e presi seriamente in carico a livello legislativo: speriamo sia un punto all’ordine del giorno del prossimo Governo.
Credo anche che sia un tema di cultura del lavoro. Ci sono aziende più avanti di altre. Ad esempio, io lavoro in un settore fino a pochi anni fa estremamente maschile, già a livello di accesso alla formazione universitaria. Questo trend sta lentamente cambiando, lo vediamo con le nuove assunzioni di personale tecnico qualificato.
A livello manageriale invece, secondo me serve ancora molto tempo: bisogna partire dalle basi, dal fatto che ci sono poche donne che hanno avuto la possibilità di avere visibilità, formazione e tutti gli strumenti necessari per arrivare a ricoprire oggi un ruolo significativo. C’è un soffitto di vetro sicuramente da rompere. Per mia fortuna, nell’azienda dove lavoro questo è stato frantumato diverso tempo fa.

Per maggiori informazioni in merito al Manifesto dell’interazione naturale promosso da Interacta, e a come concepire il nuovo lavoro secondo reciprocità e conoscenza diffusa, ecco qui il link.

Condividi: