Vissero felici e contenti. La frase che forse più di tutte ha contribuito a rendere le fiabe, delle semplici storie di fantasia, senza verità, utili per arricchire l’immaginario dei bambini più che per altro. Tutti infatti, almeno una volta nella vita, ci siamo chiesti: cosa è successo dopo? 

Vogliamo assolutamente sapere se davvero sono stati felici, se non hanno dovuto affrontare altre prove. Non ci crediamo a questa frase: è impossibile vivere una vita felice, non è reale e dobbiamo fare addirittura attenzione a far desiderare questo ai nostri bambini. 

Ma attenzione: la sofferenza nella felicità non è omessa, la difficoltà nemmeno. Purtroppo un po’ di tempo fa questa verità era chiara e lampante: la felicità non implica assenza di dolore. Adesso, invece, dobbiamo riaffermare anche questo. Ma per farlo dobbiamo ritornare a scoprire i significati delle parole. Dobbiamo ristudiarli, riviverli.

 Vissero felici: davvero pensiamo che questa frase non tenga conto del reale, così difficile perché in sé così contradditorio? C’è un mistero nella sofferenza, un mistero che rimarrà tale fino alla nostra morte e chissà, magari anche dopo. Impazziamo davanti alle morti inaspettate, davanti alle malattie inspiegabili, agli amori che finiscono. Vogliamo urlare a qualcuno, conferirgli tutte le colpe, tutta la responsabilità del nostro soffrire. In questo modo sicuramente non troviamo un senso, ma almeno troviamo un responsabile, che è già qualcosa, una sorta di giustizia in atto. 

Forse, alla fine, ha ragione chi dice che il segreto è nel compatire, ovvero nel patire insieme a qualcuno, nello scoprire proprio in quel momento, più che in qualsiasi altro, che da soli non ce la facciamo a vivere. Abbiamo bisogno degli altri, abbiamo bisogno di un amore che ci salvi dal dolore che proviamo, non dandoci una risposta, ma un abbraccio, condividendo il dolore con noi, portandolo insieme. Compatire non porta a risolvere, ma a sciogliere, a lenire, a curare. Il mistero rimane e la domanda è ancora lì, senza risposta. Che fatica stare in mezzo al senso, non possederlo, non sapere se dopo ci sia salvezza o morte certa! Che fatica scoprirci impotenti, finiti, bisognosi di amore! Non ho mai conosciuto nessuno che non abbia sofferto in vita sua. Ho conosciuto però tante persone felici, spesso divenute tali dopo grandi, grandissime prove che la vita gli ha posto, ma che hanno saputo affrontare. Hanno imparato a rendere la sofferenza una danza. Che vuol dire? Che son riusciti a non pretendere più qualcosa, ma a tendere invece verso qualcuno.

Il vero eroe nelle fiabe affronta una serie di prove, senza nemmeno sapere a cosa questo lo porterà. È semplicemente mosso da un desiderio fortissimo di amore: egli tende verso questo desiderio e al contempo è spinto dallo stesso. Più volte gli viene detto di essere pazzo, di non calcolare i rischi, di rischiare di lasciarci la pelle. Ma a lui, tutto questo, cosa importa? Se non ci provasse, ci lascerebbe comunque il cuore. 

L’essere, invece, che va pretendendo già il possesso della felicità senza esserne veramente attratto, proiettato su se stesso e non verso qualcuno, spesso crolla alla prima prova, non perché meno forte di altri, ma perché non animato da un desiderio più grande della difficoltà della prova stessa. L’essere umano riesce a diventare eroe, a salvare, quando è animato dall’amore, da un desiderio che lo spinge, che lo attrae in maniera irresistibile verso qualcos’altro da se stesso. È pazzo sì un uomo cosi, non segue logiche, non calcola rischi e pericoli ma utilizza la ragione per seguire il cuore. Una volta che l’eroe, l’amante, raggiunge la sua amata, la gioia è talmente grande da voler coronare subito in un matrimonio, quindi in una festa, la vittoria delle sue sofferenze passate. 

La fiaba non dice che non ci saranno prove in futuro. Essa insegna che ogni prova può essere affrontata e superata solo con l’amore, perché è l’unico senso che oltrepassa il non senso della morte. L’unico senso che ci libera dalla paura della stessa. 

Vivere felici implica aver scoperto questo segreto. Recuperiamo questa frase nelle fiabe, ridesideriamola come una promessa, che ci libera da pretese e ci spinge a tendere la mano verso qualcuno, amandolo e dandogli la possibilità di amare anche lui, di tendere anche lui la mano verso qualcun altro. Perché l’amore non si esaurisce in una sola relazione ma continua a donarsi, non possedendo nessuno ma liberando tutti. 

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