La storia che racconta Cinzia Leone in questo suo Vieni tu giorno nella notte (Mondadori, pp 420, euro 20,00) inizia con l’esplosione di una bomba indossata da un kamikaze in un bar di Tel Aviv. Molti feriti e cinque morti.

Tra i morti, un giovane soldato israeliano che si era adoperato per mettere in salvo il maggior numero possibile di persone, correndo dall’ingresso del bar fino al punto dove si trovava l’attentatore.

Quando arrivano le ambulanze e il servizio di polizia, presto ci si accorge che, a causa della vicinanza tra l’attentatore e il giovane soldato, i brandelli dei corpi dilaniati dall’esplosione sono mescolati, praticamente indistinguibili l’uno dall’altro.

Saranno solo alcuni testimoni a far riconoscere Ariel, un ragazzo ebreo italiano, figlio dei coniugi Anav, Daniel e Micol ora separati e residenti uno a Milano e l’altra a Roma.

Il conflitto che lacera Tel Aviv

Due telefonate solcano i cieli da Tel Aviv fino alle due città italiane a far schiantare di dolore i genitori del giovane che da ragazzo, anche per polemica con la sua famiglia, aveva deciso di andare a vivere in Israele poco distante da Stella, sua nonna materna.

Liberamente giocando tra il simbolico e il reale, Cinzia Leone ci accompagna in un viaggio tragico attraverso i conflitti di cui la terra di Israele e Palestina sembra essere il palcoscenico perfetto. Una terra divisa che qualcuno vuole in lotta permanente, ma abitata da uomini e donne che intrecciano tra loro il proprio destino incuranti di divieti e pericoli.

A tener banco non sarà tanto il conflitto tra i due genitori, rivelatosi poi insanabile, ma molto di più. Sorprendentemente molto di più: Ariel infatti scopriamo intrattenere da tempo una relazione omosessuale con Tariq, ragazzo palestinese, in Israele clandestinamente.

Cinzia Leone

Da qui, dalla ricostruzione a volte minuziosa dei dettagli della relazione, dei rapporti con le persone che conoscevano i due giovani, Nicol e Daniel scoprono il mondo. Capiscono che del figlio sapevano molto poco. Attraverso il loro immenso dolore, scoprono il senso della vita. Capiscono che l’obiettivo della bomba dei kamikaze “non è uccidere il nemico, ma uccidere la pace”.

Dalla dimensione privata finiscono nella dimensione politica. E viceversa. Il ragazzo palestinese è l’unica fonte amorevole di informazione sul loro figlio.

Singolarmente, Cinzia Leone, attraverso Micol, si lascia andare a polemiche ripetute contro le parole, contro le chiacchiere, cavallo di battaglia di Daniel, professionista della parola in quanto pubblicitario e grande seduttore, proprio in forza di questa dote.

Si, la cosa è singolare perché proprio il libro rappresenta un’opportunità unica, attraverso la parola appunto, per restituirci una vicenda forte, struggente, con momenti di vera commozione specialmente per chi conosce i luoghi e le persone che fanno da cornice.

In linea generale, poi, leggiamo un recupero attento e qualificato della dimensione del passato. Fatto certamente di ricordi, spesso legati agli oggetti, ma soprattutto fonte di conoscenza della storia di un essere umano di cui si sa troppo poco, Ariel appunto.

Il dolore e l’amore

Infine, il dolore, che impone e permette di prendere il tempo per sé (anche se Daniel non riesce a rinunciare del tutto a una opportunità di lavoro). Ebbene questo dolore facilita l’accendersi di una luce sui propri stili di vita. Ne rivela tutta l’irrilevanza rispetto alle questioni centrali che animano la nostra esistenza. Prima di tutto l’amore.

Mentre c’è chi raccoglie parti del corpo di Ariel per ricomporli, così i suoi genitori e i suoi cari, la nonna Stella e il fidanzato Tariq sono impegnati a ridefinire i tratti della sua anima.

Ma questa storia molto coinvolgente non può avere un finale chiuso, tutt’altro. Per sua natura è aperta a sorprese e a colpi di scena. Che ci proiettano tutti in un finale di speranza.

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