Cosa divide il regno della vita da quello della morte? Si può vivere pensando di dover morire? Freud ci ricorda come la morte sia il grande rimosso, come non si possa vivere pensando di dover morire e come per vivere sia necessario fare di questo fatto un oblio generale, giacché, se così non fosse, uno stato di melanconia avvolgerebbe ogni azione che compiamo, anzi, ci immobilizzerebbe fino al punto da rendere impossibile la vita. Renderebbe impossibile vivere.

“Vivere non è possibile”

suona un verso di una vecchia canzone dei Baustelle.

Ma quando la vita non è possibile?

Non sono una persona che crede nel pudore, anche se apprezzo chi lo ha. Quindi vi parlerò di me: persona senza cuore. Sono in una terra di mezzo. Dentro a uno stato intermedio. Sto aspettando che mi chiamino per essere trapiantata. È il cuore. È l’organo che idealizziamo come sede delle emozioni, dell’amore. È il simbolo della vita. Io abito la terra di mezzo. Quella dove non sai se stasera andrai a letto nel tuo letto o ti chiameranno e dovrai partire perché c’è il tuo nuovo cuore.
Io abito la terra di mezzo. Quella dove non sai se quella è l’ultima alba che vedrai.

Lo stato intermedio, un libro scritto a quattro mani da Franco Battiato e Gianluca Magi, non è un testo che probabilmente avrei mai letto né acquistato se non mi trovassi io in uno stato intermedio. Tra due mondi. Sì, mi sento in una terra di confine che separa la vita – quella quotidiana, la vita di tutti i giorni fatta di lavoro, sfide, pensieri, amori, ferite, gioie, cene, aperitivi, chili in più, iscrizioni in palestra, drammi sentimentali – da qualcosa che non ha un nome, ma che non ha niente a che fare con tutto questo.

Gli affari del mondo sono entità sbiadite che non assumono forma né colore né sapore.

Eppure, ho sempre escogitato le più sottili forme di autoflagellazione, perché, alla fine, il dolore mi è sempre piaciuto molto. Era come se la sofferenza per me fosse più riconoscibile e accettabile della gioia. Noi anime sensibili: venute al mondo per contemplarla la vita più che per viverla. E, mentre pensavo questo di me, non mi accorgevo con quanta grinta stessi aggredendo la vita. Quanto ne godessi proprio mentre la sbeffeggiavo:

“non mi interessa vivere”

e invece ero ubriaca ogni giorno di vita.

Che cosa è lo stato intermedio?

Lo stato intermedio è dove sono adesso. Sono ancora qua: se mangio una mela ne riconosco il sapore, se guardo un cielo ne vedo ancora il colore, la bellezza ma non sento l’appartenenza. Non appartengo più. Sarà per questo che faccio sempre più fatica a tenere insieme le cose della vita. Perché nella terra intermedia – quella che separa i due mondi – le cose della vita non esistono. Ti fanno come sorridere e poi ti mancano da impazzire. Ti manca pensare all’odore di salsedine mista a vino e tabacco di quando andavi al mare, ti manca sprofondare nel pelo di quel pastore che se ne è andato troppo presto – ma prima di tutto questo – ti manca pensare che puoi progettare qualcosa. Ma non c’è niente da progettare nella terra di mezzo, nello stato intermedio. Sei appeso, bloccato. All’angolo.

La vita è il reale

Ecco perché credo che la vita, quella vera, non sia uno stato intermedio ma qualcosa di molto più potente: un reale così vivido che negarlo è impossibile. Certo ci sono costrutti di pensiero, terreni molli in cui abbandonare emozioni e cuore, in cui perdersi acutamente per il piacere di avere accanto un amico, ma arriva l’amico: arriva il bianco con la sigaretta e allora la vita è reale. A volte ci nascondiamo dietro la metafisica dell’esistenza perché essa è solo una scusa per mangiare il pane quotidiano.   

Allora adesso ripenso alla vita e non è qualcosa che svolazza impalpabile, il bello di essa non è la trascendenza quanto l’immanenza, tuttavia, si tratta di un im-rimanere. Rimanere aggrappati alla carne e ai sensi e a tutto quello che essi sono in grado di darti: quelle finestre che si aprono sul mondo e ci rendono affamati di mondo. Vivere non è prepararsi a morire e neppure riflessione sulla morte: la morte quando ti guarda davvero in faccia ti schiaffa in quella terra di mezzo; solo a quel punto sopraggiunge lo stato intermedio.

Esso non è nella vita. Non può esservi perché la vita è sostanza che si nutre di desiderio, tuttavia, il desiderio si declina solo al futuro. Lo stato intermedio, invece, vive un tempo di futuro anteriore: quel futuro che è capace solo di guardarsi indietro. Ecco lo stato intermedio non è sublimazione della vita, ma distanziarsi da essa al punto che tutto è indifferente.

L’indifferenza alla vita è ciò a cui auspica l’asceta: Schopenhauer – quello de Il mondo come volontà e rappresentazione – sarebbe molto fiero di questa dimensione, probabilmente mi rimprovererebbe il rammarico per la mia tensione al corpo, tuttavia, riconoscerebbe la mia capacità di essermi spogliata dai panni della vita.

Ecco lo stato intermedio che si fa avanti: ogni cosa ha una inconsistenza strutturale per cui non vale la pena né gioire, né soffrire. Il punto morto del modo (Eugenio) era forse questo?

L’immediatezza di Essere un corpo

L’unica cosa che mi sento di dire con assoluta certezza, o forse neppure questa posso dirla con coriacea solidità, è che la vita non va sfuggita, non va pensata: va vissuta. E io ho perso troppo tempo senza goderla fino in fondo, senza accorgermi cosa avessi. Forse in alcuni momenti sono stata capace di stare dentro la vita ma il più delle volte l’ho abbandonata, l’ho lasciata sola. Ecco questo non lo farei più. Non lascerei più sola la mia vita.

Ma la prenderei per mano e me ne impossesserei come unica cosa che davvero mi appartiene. Non è distaccandosi dal corpo, dai sensi, dalla carne che portiamo a termine la missione di ciò che siamo: non sono gli altri mondi a dare senso a questo mondo quanto piuttosto affondare in questa dimensione fatta di materia e stupidità. Sì, l’immediatezza quella che si perde quando ci si perde la vita. Essa è immediata: è sapore che ti esplode in bocca, è stupore che ti brucia sulla pelle, è piacere che si insinua languido nel tocco, è orizzonte che impressiona lo sguardo.

Essere un corpo è essere nella vita. Come ci insegna Roberto Marchesini.

E se tornassi indietro rimarrei. Rimarrei dentro il mio corpo, dentro ai sapori, dentro al piacere, dentro al dolore. Rimarrei di più con i piedi sulla sabbia, mi fermerei quell’attimo in più ad immergermi in un tramonto, godrei senza pudore e senza troppi limiti morali. Insomma, sarei animale. Perché vita è animalità e godere della vita è essere animali. Animali umani.

Aver paura delle passioni

In questo stato intermedio che ti si spalanca quando abbandoni la sostanza della vita, in questa terra di mezzo si è come un animale in catene. Lo vedi il mondo, ne percepisci pienamente la potenza, ma non lo puoi raggiungere mai. Sprechiamo troppo tempo ad allontanarci dalla vita perché abbiamo paura delle passioni, del desiderio, della carne, della brutalità, della tenerezza. Perché abbiamo passato secoli a raccontaci favole su un Aldilà accessibile solo se rinunzianti del mondo del qui ed ora. Ma perché non pensare che l’altro mondo, quello che ci sarà, abbia forse bisogno, necessità di quello che sperimentiamo in questo e quindi di tutta la potenza del nostro essere un corpo, essere carne, essere materia? Perché in fondo è questo che siamo: materia desiderante.

Essere un corpo che vive

Alzatevi dal letto domani mattina e pensate che siete un corpo: un corpo che vive, che respira, che si muove, che assapora, che gode. Fatelo prima che questo corpo che siete inizi ad abbandonarvi, prima che questo corpo, che tanto si rischia di disprezzare, smetta di essere voi… prima che scelga quella schifosissima terra di mezzo, stato intermedio che non è altro che una negazione della vita.

Non si celebra la vita nell’ascesi, ma nell’animalità. Il punto è continuare a capire e sondare cosa sia il concetto di animalità liberi dai nostri bias cognitivi, liberi dalla tradizione che ci ha detto che essere animale, essere corpo, è male.

Essere animale è correre liberi su di un prato, è rotolarsi nella terra, è adeguarsi alle emozioni della carne nostra e degli altri: dire la verità. Ecco dire la verità: è sempre questa l’opportunità più grande che abbiamo sprecato mentre eravamo nella vita.

Dire la verità, forse questa è la cosa che smette di far paura quando si è nello stato intermedio: la terra di mezzo.

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