Oggi parliamo di pedagogia.
Avevo una professoressa di matematica e scienze alle medie, di base biologa, alla quale devo il fatto di saper riconoscere angiosperme e gimnosperme oltre al saper distinguere alcune piante edibili tipo la vitalba. Questa santa donna ci coinvolgeva in camminate estenuanti – ma belle – in zone interessanti dal punto di vista floro-faunistico come le colline attorno Certaldo, il Monte Senario, altri parchi naturali meno celebri tra Firenze e la Valdelsa. Alternavamo questo tipo di attività a lavori di gruppo da fare a casa sulle piante, a letture di poesie, analisi di canzoni (ricordo il buon vecchio Guccini con il suo Il Vecchio e il bambino) fino alla stesura di un giornalino a numero unico che conservo ancora gelosamente. Sottolineo come la prof fosse di scienze, non di italiano. La povera, lungimirantissima e incompresa, si fece anche promotrice della creazione di una specie di piccolo orto botanico nel cortile della nostra scuola, che pochi anni dopo è stato barbaramente schiacciato da una super palestra in cemento che mi fa pensare, quando la vedo, alla provocazione di Théophile Gautier: “Tutto ciò che è utile è brutto”.

No, non vi sto raccontando questa cosa per deprimervi. È che ho rivisto molto dell’atteggiamento della mia prof nel libro Educare al pensiero ecologico di Rosa Tiziana Bruno, consigliato dagli amici di Fridays for Future. Rosa Tiziana Bruno si pone un problema importante: come educare i più piccoli allo sviluppo di una forma mentis ecologica in senso largo? Educare al pensiero ecologico è la sua proposta. È un libro per addetti ai lavori, tuttavia ci sono spunti interessanti anche per chi si accinge a essere genitore e magari si è posto il problema di come educare al mondo naturale. Sì perché già nelle prime pagine l’autrice riscontra non solo una sproporzione dei giovanissimi verso il tempo dedicato all’artificiale e allo schermo, ma nei confronti della natura rileva l’indifferenza di chi la considera più un concetto che una realtà. È inquietante, perché la recisione dell’essere umano dal non umano (impossibile in realtà ma percepita dalla donna e dall’uomo medio occidentali oggi come non mai) viene assorbita da chi deve crescere e affrontare il domani. Rosa Tiziana Bruno non adotta un atteggiamento estremista, della serie buttiamo via gli schermi (al contrario indica spesso quanto le forzature siano nocive), sottolinea però che la dimensione naturale non deve essere ignorata. Esempio pratico: i videogiochi sono un medium come un altro con i loro pregi e punti di forza ma vanno alternati al tempo passato a giocare fuori o possono diventare (come i social media del resto) una dipendenza.

Il fine ambizioso ma assolutamente necessario di questo libro non è tanto instillare una conoscenza nozionistica del mondo naturale o, peggio, passare ai più piccoli l’eco-ansia. Esattamente come la mia insegnante faceva alla fine degli anni Novanta, Rosa Tiziana Bruno suggerisce una metodologia intanto per non far perdere ai bambini la loro “innata biofilia”, in secondo luogo per fargli sentire che noi, come esseri umani, siamo parte di un tutto con il non-umano. In terzo luogo questa azione educativa dovrebbe nel lungo termine gettare semi per lo sviluppo di un pensiero divergente rispetto alla società occidentale: competitiva, fondata sulla crescita economica (dunque sul consumo esasperato), sulla fretta e sullo spazio artificiale cittadino. La colpa del senso di alienazione dilagante anche fra le giovani generazioni – dice intelligentemente l’autrice – non è degli schermi ma della filosofia che c’è dietro a essi, purtroppo radicata a livello epistemologico. Se non si agisce a questo livello, il massimo che possiamo fare è creare degli ecologisti di superficie dogmatici e comunque incapaci di figurarsi un modo di vivere veramente diverso dall’ideologia dominante di cui incarnano il negativo – e ce ne sono già troppi.

E allora che si fa? Che può fare il mondo naturale per la scuola e la scuola per la natura? Intanto queste due componenti devono incontrarsi e capire che l’una non può fare a meno dell’altra: è degli ultimi tempi infatti l’individuazione di un Nature Deficit Disorder i cui effetti partono dalla riduzione di sensi come l’olfatto a sviluppo di depressione precoce a un calo di attenzione. Soprattutto gli ultimi due punti interessano la scuola in maniera diretta: negli ultimi tempi si è molto polemizzato con gli Asili nel Bosco, probabilmente generalizzando molto e riducendo ogni sfumatura di questo fenomeno a determinate esperienze, per ragioni ideologiche comprensibili ma forse un po’ troppo tranchant. Rosa Tiziana Bruno offre una strada pedagogica che probabilmente la scuola pubblica dovrebbe iniziare a considerare, se il timore è che suppliscano alle sue carenze strutture private. L’autrice riporta la testimonianza emblematica di un’insegnante parte della sua ricerca che a me personalmente ha inquietato non poco: bambini portati a vedere la rinascita primaverile annoiati come se la cosa non li riguardasse o addirittura spaventati dal verso del corvo o dalle rane, che invece di rotolarsi nell’erba si siedono affaticati dopo una semplice passeggiata e tirano fuori il telefono. Questo in Italia, non negli Stati Uniti che Louv descriveva nel 2005 nel libro Last Child in the Woods, dove elabora il concetto di Nature Deficit Disorder. Questa specie di incubo dovrebbe rendere l’idea di quanto sia forte il bisogno di un nuovo paradigma educativo.

Ok, ma in pratica come si fa? Si parte dal potere delle narrazioni. Lo stesso principio per cui con gli adulti diciamo che leggere cli-fi significa creare immaginario e pensare l’invisibile reale, applicato ai bambini significa soprattutto orientare verso una scala di valori diversa. Limitare l’egocentrismo, imparare a fare silenzio dentro sé, condividere, entrare in interrelazione profonda con gli altri e con ciò che è altro, rallentare. Per Rosa Tiziana Bruno una via è far riflettere, tramite la conversazione, i bambini su alcuni concetti: un esercizio può essere leggere un brano in classe, soffermarsi su una parola (non so, “gioia”) e dire che cosa rappresenta per noi. Oltre ad essere un modo per condividere con gli altri e per riflettere su valori e narrazioni personali è una via per prendere l’abitudine a essere introspettivi e inclusivi acquisendo l’ecosaggezza.  

Le letture illustrate hanno un luogo privilegiato all’interno del metodo che Rosa Tiziana Bruno suggerisce perché aprono all’indicibile, all’inesplicabile. Nel rapportarsi con il bambino allora il libro si carica di un’ulteriore funzione: dove il limite dell’adulto è percettivo (non temo il cambiamento climatico perché non lo sento) il pensiero del bambino non funziona con gli stessi parametri dell’adulto: leggere allora può aiutare a far arrivare meglio e nella maniera migliore (senza mai spaventare) alcuni concetti, come lo stesso cambiamento climatico. A tradurre il pensiero adulto in termini da bambino e farli incontrare. L’autrice, alla fine del suo volume, suggerisce tutta una serie di titoli che in tutta onestà incuriosiscono anche me, che ad oggi non saprei dove mettere le mani se mi venisse chiesto di scrivere una storia con target minore dell’adolescente che parli in maniera effettiva e intelligente di tematiche ambientali.

Il resto di Educare al pensiero ecologico ve lo lascio scoprire. Chi insegna sono sicura che lo troverà di ispirazione ma forse mi interessa anche più il feedback di chi si accosterà a questo libro da genitore. Sarebbe bello che nella scuola pubblica la messa in atto di certi metodi non fosse lasciata nelle mani del singolo illuminato, come la mia prof delle medie che ancora ringrazio. Tuttavia l’educazione non finisce fra i banchi di scuola.

Condividi: