Da fuori ci vedono così: siamo diventati i ragazzi e le ragazze entusiasti, contraddistinti da determinazione, energia e un po’ di arroganza, che sprezzando la parola impossibile hanno portato milioni di persone nelle piazze e per le strade di qualsiasi città.

Da fuori ci vedono decisi, forti, come se nulla ci possa fermare, come se nulla ci possa far male; come se vivessimo la nostra vita all’insegna di striscioni e cori.

Da fuori spesso si pensa a noi come a un gruppo di individui lontani da tutto e tutti, come se nel mondo esistessero persone normali e attivisti, e come se questi ultimi fossero tutti uguali, sempre entusiasti, come se non provassero altre emozioni; si pensa a noi come a dei robot, che nella vita hanno un compito che eseguono in modo naturale, restando imperturbabili.

Da fuori spesso ci si dimentica: ci si dimentica che attivista è un ruolo, non uno stato d’animo o un modo di essere. Ci si dimentica che anche noi abbiamo i nostri giorni no, che anche noi ci sentiamo feriti, che anche noi abbiamo paura, Dio mio se abbiamo paura. 

Siamo ragazzi e ragazze che combattono contro il tempo, contro qualcosa di più grande di loro. Dedichiamo la maggior parte delle nostre giornate, la maggior parte delle nostre energie ad una lotta con un esito incerto, con un esito che non dipende da noi, passiamo ore ed ore con l’unico obiettivo di fare il massimo per salvarci, per salvare ciò che di noi ancora rimane.

Ma se non fosse abbastanza?
Se ci ritrovassimo un giorno costretti a svegliarci con la consapevolezza di star andando verso l’estinzione e di non poter fare più nulla? Con la consapevolezza degli eventi catastrofici che stanno per travolgerci, e costretti a non poter fare altro che accettarli? 

È questo che fa paura. Una paura diversa, che non si può spiegare.

Viviamo con un timer nella testa, un ticchettio assordante che ci ricorda che non abbiamo tutta la vita per fare qualcosa, che non c’è tempo, che dobbiamo muoverci.

La vita da attivista non è sempre rosea, si è consapevoli di tutto ciò che sta andando storto, di tutto ciò che ancora potrebbe andarci, storto. Ci si sente ignorati, inascoltati, si sente di avere le ore contate: sono cose che fanno paura. 

Questa paura ha un nome, si chiama eco-ansia, e no, non è una battuta. Questa è la realtà che centinaia di persone si trovano a vivere giorno dopo giorno, mentre questa battaglia contro il tempo si fa sempre più difficile.

L’eco-ansia può essere definita come: “manifestare senso di perdita, mancanza di speranza e frustrazione dovuta all’incapacità di adattarsi al cambiamento climatico”.
L’eco-ansia ha tante forme, tante quante le persone che si trovano a convivere con lei. 
L’eco ansia può bloccare e impedire di agire. Ma l’eco-ansia può anche portare ad agire. Si può imparare a portarla appresso. E allora accade qualcosa. L’eco-ansia incontra altre eco-ansie. Scopre di non essere sola. Agisce. Le eco-ansie agiscono insieme. 

Anche se sarebbe ingenuo pensare che possa scomparire così, senza lasciare alcuna traccia, l’eco-ansia forse diventa più piccola. O, meglio, è lo spazio intorno a lei che diventa più grande. Lo spazio si allarga e l’eco-ansia non lo riempie più tutto quanto. 

E sì, siamo sempre gli stessi ragazzi e ragazze entusiasti, energici, con una determinazione e consapevolezza che vengono spesso scambiate per arroganza; siamo le stesse persone che si emozionano agli scioperi globali, che non vedono l’ora di poter portare avanti le proprie rivendicazioni, di poter dare uno spazio alla scienza e alle nuove generazioni.

Ma c’è un’altra parte della storia che non bisogna trascurare. 

C’è una parte chiamata eco-ansia che fa spesso paura. Ma se ci uniamo per lottare insieme per un cambiamento sistemico le nostre eco-ansie saranno più facili da portare appresso. 

di Lavinia Iovino per conto di Valeria Belardelli

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