Luis Sepulveda, l’utopia è un’esperienza morale
Luis Sepulveda. Le sue parole civili da un dialogo privato ritrovato dopo vent'anni. Il libro "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore".
Luis Sepulveda. Le sue parole civili da un dialogo privato ritrovato dopo vent'anni. Il libro "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore".
Quanto ci manca Luis Sepulveda. Quattro anni fa, il 16 aprile, il Covid se l’è portato via (si era ammalato a fine febbraio mentre era ospite al festival letterario del Correntes d’Escritas in Portogallo).
Di Luis oltre ai suoi libri, le sue storie, il suo vissuto di poeta civile mi resta l’odore di una sigaretta condivisa (ne avevamo solo una e l’abbiamo fumata insieme lentamente passandocela come si faceva da ragazzi) e la sua voce impressa su un registratore a cassette.
Luis cos’è l’utopia?
L’utopia è un’esperienza morale, quando l’umanità pensa di avvicinarsi a lei l’utopia si allontana, quando non arriva la prendi per mano. Naturalmente l’utopia a volte diventa estrema ma credo che sia un mondo d’opportunità per tutti, un mondo di fraternità e solidarietà. L’utopia più bella della vita è la grande esperienza morale che rende possibile la formidabile avventura della vita stessa.
Che ricordo hai della prigionia?
La prigionia è un ricordo di un tempo terribile, che comunque è parte della mia vita, è stato il prezzo da pagare per il desiderio di cambiare la società.
I Sud del mondo hanno lo stesso sangue?
C’è un forte legame culturale, il legame della forma dell’essere. Credo ad esempio che tutti i latino-americani quando sono in Italia si sentono a casa. Hai ragione a dire che abbiamo lo stesso sangue. In Italia c’è una parte più ricca e una più povera fra Nord e Sud, voi qui avete molti problemi, ma l’arte, la poesia, la letteratura costituiscono una lotta, un riscatto. E questo ad unire un popolo con gli altri popoli. La cultura ci salva e ci rende uguali.
Di quel dialogo inedito ritrovato ne riporto tre momenti essenziali in cui è racchiuso tutta la sua poetica civile. Era stato l’amico comune Raffaele Nigro a farci incontrare nei primi anni del 2000 e per l’occasione portai all’appuntamento con me mio figlio Christian Nirvana, suo appassionato lettore – sapeva a memoria Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Allora Christian Nirvana aveva poco più che sette anni, oggi è uno scrittore, curatore e ricercatore indipendente che si occupa di filosofia, tecnologia e cultura visuale e fra i nostri ricordi ci capita spesso di ricordare l’incontro con Luis e le notti insonni passare a guardare La gabbianella e il gatto, il cartone animato tratto dalla favola di Sepulveda diretto da Enzo D’Alò.
Aveva ragione Nigro a dire che la vita di Luis in qualche modo era legata a quella di Che Guevara. Ed insieme a Predrag Matvejevich condividevano non solo il fatto di essere poeti esuli ma avevano anche lo stesso sguardo sul Mediterraneo e tutti i Sud del Mondo. Per Raffaele Nigro la scrittura di Luis era vicina a quella di Orwell e ricordava la fantasia de Il gabbiano Jonathan Livingstone.
Sepulveda era un racconta-storie, con le sue metafore e bestiari che sapeva andare nel profondo delle coscienze non solo dei lettori ma anche della storia che veniva sempre declinata rivolta ai valori della democrazia e della libertà. Le sue erano storie minime, essenziali, brevi che potevano leggere e poi raccontare anche le persone semplici. una poetica della terra per la terra.
Luis Sepùlveda è stato uno scrittore errante, nipote di un anarchico andaluso costretto a fuggire in Sud America e figlio di un dissidente politico, denunciato dal ricco suocero e costretto a fuggire con la giovane moglie incinta. Ed è proprio durante questa fuga, in una camera d’albergo, che nasce il piccolo Luis. Nel 1969, appena ventenne, vince il premio Casa de Las Americas con il suo primo libro di racconti Crònicas de Pedro Nadie. Più tardi si arruola nell’Ejército de Liberaciòn Nacional e parte come combattente per la Bolivia. In seguito, tornato in patria e diplomato regista teatrale, si dedica al teatro e alla radio, continua a scrivere racconti, diventa responsabile di una cooperativa agricola, entra a far parte della struttura militare del Partito socialista e della guardia personale di Allende.
Nel 1973 il dittatore Pinochet attua il colpo di stato e Sepùlveda viene arrestato e portato alla caserma di Tucapel, dove per sette mesi viene interrogato, torturato e rinchiuso in una stanza larga cinquanta centimetri, lunga un metro e mezzo e così bassa da non potersi mai alzare in piedi. Nel 1976, grazie all’intervento di Amnesty International gli vengono concessi gli arresti domiciliari, torna a Valparaìso e ricomincia ad allestire spettacoli contro il regime.
Catturato nuovamente viene condannato all’ergastolo per
“alto tradimento, spionaggio a favore dell’Urss, offesa ai valori della nazione, associazione illecita e detenzione d’armi”.
Ancora una volta grazie ad Amnesty International e grazie ad una legge che permette di commutare la pena dell’ergastolo in esilio, nel 1977 viene accompagnato all’aeroporto di Santiago con un visto per la Svezia e un posto da professore di drammaturgia all’Università di Uppsala. Durante lo scalo a Buenos Aires decide di non lasciare il Sud America e inizia un pellegrinaggio per i vari stati latino-americani che termina in Ecuador.
Per sette mesi vive nella foresta amazzonica con la tribù degli indios shuar e da quest’esperienza nasce uno dei suoi romanzi migliori Il vecchio che leggeva romanzi d’amore.
Fra i suoi libri da rileggere: Incontro d’amore in un paese di guerra, Diario di un killer sentimentale e Le rose di Atacana. Di Sepulveda mi piace anche ricordare la sua straordinaria e commovente storia d’amore vissuta con sua moglie Carmen Yáñez, anche lei una potente poeta che ha raccontato il loro grande amore nel libro Un amore fuori dal tempo (Guanda).