Il gemello digitale è una replica virtuale di un oggetto o di un suo componente, un processo, una persona o una parte del corpo, un luogo, un sistema, un’infrastruttura, un dispositivo… un’entità.

Rappresenta un equivalente che, rispetto ai classici modelli bidimensionali o ai prototipi, apre per un’infinità di contesti industriali scenari prima inimmaginabili, se pensiamo come esso permetta di testare, prevedere e comprendere il comportamento di sistemi e prodotti in un’ampia varietà di ambienti in cui si presume verranno poi utilizzati. Tutto ciò in uno spazio virtuale e attraverso la simulazione, prima di avviarne la produzione.

Si tratta di una tecnologia, ancora emergente, ma che vanta una discreta storia alle spalle, destinata a cambiare gli scenari di moltissimi settori industriali e che certamente rappresenta un fattore importante nell’abilitare la trasformazione digitale per moltissime realtà.

I digital twin rappresentano l’evoluzione dei simulatori digitali ed in quanto tali partono dal concetto di modello digitale di un’entità, fisica o virtuale, semplice o complessa o di un sistema.

Il concetto va oltre la semplice simulazione, perché il gemello digitale di un sistema può essere eseguito in parallelo al sistema reale e in tempo reale, quindi funziona come vero e proprio riferimento digitale vivente, che può essere continuamente alimentato da input, ossia dati.

Motore e ingrediente principale è infatti il software, che elabora quei dati e trasforma in funzioni e valori ogni parte di un sistema, reale, creandone quindi una replica digitale, un gemello.

Il digital twin, sulla base di questi dati immessi da un modello ed elaborati sotto forma di  informazioni statistiche, consente di condurre processi di progettazione e permette di gestire la produzione in fabbrica, come il traffico cittadino, il modo di curare le persone e molteplici altre situazioni.

Il digital twin nasce
in tempi non sospetti

Ma ripercorriamo la storia di questa tecnologia di cui si parla da molto più tempo di quanto ci aspetteremmo, ben prima che si iniziasse a parlare di realtà virtuale (nel 1989) o di realtà aumentata (nel 1992).

L’origine va ricercata negli anni ’60, quando la NASA iniziava a utilizzare i principi del gemellaggio per alcuni progetti. Un esempio è il gemello digitale creato per valutare e simulare le condizioni a bordo dell’Apollo 13.

Molti ricorderanno che, all’inizio della missione nell’aprile 1970, i serbatoi di ossigeno esplosero dopo il lancio e ciò diede inizio alla famosa missione di salvataggio che tenne il mondo col respiro sospeso.

Tecnici e scienziati si trovarono a dover risolvere problemi enormi con la complicazione di trovarsi ad una distanza di 200.000 miglia dal quell’oggetto su cui era sorta la criticità a cui occorreva porre rimedio.

Aver potuto disporre di un gemello digitale dell’Apollo 13 si è rivelato cruciale per la missione di salvataggio, perché ha permesso agli ingegneri di testare tutte le possibili soluzioni, direttamente da terra.

Seppur questa tecnologia fosse già utilizzata da qualche decennio, la prima volta in cui è stata menzionata la dicitura gemello digitale risale però al 1998, quando l’attore Alan Alda in Alan Alda meets Alan Alda 2.0 la citó riferendosi a una copia digitale della voce.

Più recentemente, nel 2002, Michael Grieves, oggi Chief Scientist for Advanced Manufacturing presso il Florida Institute of Technology, ha usato il concetto durante un corso di Product Lifecycle Management (PLM) all’Università del Michigan, per descrivere l’equivalente virtuale e digitale di un prodotto fisico.

Da qui in poi i gemelli digitali sono entrati nel lessico e, per lo meno per chi si è occupato di tecnologia sono diventati termini familiari, ma solo di recente, nel 2017, il concetto è diventato uno dei principali trend tecnologici strategici, stessa definizione che nel 2020 ne darà lo stesso Gartner identificandolo come uno dei cinque che guideranno l’innovazione tecnologica per il prossimo decennio.

Il legame con I’IoT

La storia del concetto di gemello digitale si intreccia strettamente con quella di un altro concetto importante, ovvero l’Internet of Things (IoT), coniato nel 1999 da Kevin Ashton, ricercatore presso il MIT, Massachussets Institute of Technology, che lo ha utilizzato per descrivere un sistema in cui il mondo fisico è connesso ad internet attraverso dei sensori.

La diffusione di sensori ha guidato e favorito l’utilizzo dei gemelli digitali nell’industria. Gli scenari di opportunità di entrambi si sono quindi aperti in parallelo poiché, se i sensori sono in grado, ad esempio, di fornire dati su come un oggetto funzionerà e su come reagirà nell’ambiente, l’applicazione dei gemelli digitali può contribuire a migliorare l’analisi, la simulazione delle condizioni, il funzionamento di quello stesso oggetto… e proprio la diffusione dell’IoT ha contribuito a fare del digital twin una tecnologia in grado di rivelarsi cruciale per il business, di molti comparti.

Il legame tra digital twin e IoT è descritto anche da IDC – società mondiale specializzata in ricerche di mercato, servizi di consulenza e organizzazione di eventi nei settori ICT e dell’innovazione digitale – che definisce esattamente i gemelli digitali come modelli virtuali di un prodotto o di un bene collegato al prototipo fisico o all’istanza tramite IoT.

L’istituto di ricerca conferma la percezione molto positiva da parte delle imprese rispetto alle potenzialità strategiche di questa iniziativa (ne sono convinti oltre il 70% degli intervistati nella Product and Service Innovation Survey).

Un altro studio, IDC FutureScape: Worldwide Manufacturing 2020 predictions, evidenzia inoltre come,  entro il 2023, il 65% dei produttori a livello globale avrà beneficiato di un risparmio del 10% nelle spese operative grazie proprio all’utilizzo dei gemelli digitali nei processi.

Nel corso degli anni la terminologia ha subito dei cambiamenti, mentre a mantenersi costante, fin dalla prima comparsa dell’accezione, è stata la concezione del concetto di gemello digitale e fisico come entità unica.

Entità unica in cui il twin digitale funziona come sorta di centrale di controllo del twin reale, centrale di controllo attivata all’interno di un software, che però può funzionare anche in modo indipendente, ossia anche in assenza del sistema controllato, dell’oggetto reale da cui si è tratto il gemello.

Di recente il concetto ha assunto nuovi significati, quando si è iniziato a parlare di modelli digitali olistici di sistemi reali, e questi modelli olistici (estensioni dei digital twin) si sono rivelati strumenti incredibilmente potenti, armi predittive in mano all’industria, alimentate dalla potenza di calcolo e da analisi sempre più sofisticate dei dati che oggi è possibile gestire anche grazie al cloud.

Ancora una volta il potere del dato è al centro e la questione della gestione del dato e del suo enorme potere deve rimanere oggetto di riflessione e dibattito.

Per saperne di più, vi consigliamo l’interessante libro di Derrick De Kerckhove e Maria Pia Rossignaud dal titolo Oltre Orwell. Il gemello digitale edito da Castelvecchi Editore, che offre una riflessione su un futuro in cui dovremo giocare d’anticipo per non farci sopraffare dai dati, partecipando alla trasformazione digitale senza che essa di compia sulle nostre teste.

Maura Vadacca

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