Ricordate quando abbiamo parlato di questa immagine in un post recente? E’ stata elaborata da Alessio Vignozzi in arte Il Vigno, e riprende un’opera d’arte di Jeremy Deller presentata alla biennale di Venezia nel 2013. Dopo aver parlato dello yacht e di Venezia, ora vogliamo dedicarci al gigante che lancia via la barca, William Morris.

William Morris era molte cose: poeta prolifico, imprenditore alternativo (diremo oggi) co-firmatario di una fortunata ditta di decorazioni, politicamente impegnato, socialista, riformista, attivista a favore dell’educazione per tutti e proto-ambientalista. Fiona MacCarthy – nella sua biografia di Morris vincitrice del Wolfson History Prize – nota come questa versatilità suoni strana nella nostra società che tende all’iper-specializzazione. Suona ancora più strana la resistenza mentale che Morris ha portato avanti disperatamente lungo il corso della sua vita, cercando di mantenersi aperto alla possibilità di futuro diverso e cercando – senza fermarsi seppur consapevole del suo punto di vista minoritario – di farlo vedere agli altri. Deller lo rappresenta come un titano enorme, in effetti c’è qualcosa di titanico in questa lotta contro l’inevitabile industrializzazione. Morris è titanico ma allo stesso tempo è simile, scrive MacCarthy: “al bambino sulla spiaggia, lui poteva distruggere tutto il castello di sabbia perché in testa ne aveva uno più bello da erigere al suo posto”. Il problema, il solito delle persone avanti sui tempi, è che il castello più bello lo vedeva solo lui e pochi altri con lui. Forse proprio oggi, con l’emergenza climatica alle porte, alcuni attivisti che reclamano una “decrescita felice” (per usare la celebre espressione di Latouche) hanno ritrovato nelle pagine dell’utopia News from Nowhere quel bel castello abbandonato su qualche spiaggia del pensiero dal 1890. All’epoca il libro fu classificato fra i socialisti utopisti e perfino la bella mente di George Bernard Shaw lo definì: “la biblioteca bruciata di Don Chisciotte che resuscita”. Eppure, un cambiamento economico/strutturale su larga scala era all’epoca ancora possibile in termini pratici. Evidentemente, già non lo era nella mentalità coeva.

Se pensiamo all’età vittoriana, vengono in mente da una parte le tenute di campagna dell’alta società dall’altra i poveri ammassati nei sobborghi delle grandi città industriali dove molti erano scappati dopo l’ultima fatale ondata di recinzioni delle terre comuni che aveva lasciato chi abitava le campagne senza mezzi di sostentamento. Povertà, sfruttamento minorile, ritmi di lavoro massacranti, alcolismo, criminalità, prostituzione e – dato che la decadenza umana si accompagna a quella dell’ambiente – nebbia killer. Recentemente la serie The Crown ha ricordato l’ultima grande nebbia killer londinese, datata 1952, un avvenimento isolato. La popolazione anziana però ricordava che negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento essa si era manifestata frequentemente. Il cocktail letale di nebbia – fenomeno naturale nel bacino londinese – e fumo delle fabbriche, alimentate a carbone, causava morti sia per la scarsa visibilità sia per l’insinuarsi dello smog nelle vie respiratorie della gente. Fu il primo microclima sconvolto dagli scarichi industriali. I ricchi almeno potevano trasferirsi a Richmond o in qualche località amena periferica. I poveri purtroppo lo smog se lo respiravano tutto.

William Morris era nato ricco. Suo padre, morto quando aveva dodici anni, era stato un agente di cambio. Era fortunato abbastanza da avere di che nutrirsi e al contempo era un fine conoscitore della mentalità borghese: c’era nato in mezzo. Da studente, come accadde a molti della sua generazione (e successive, come Proust), rimase colpito da Le pietre di Venezia, un volume del critico John Ruskin. L’autore traccia una panoramica architettonica degli edifici della città lagunare, poi espone le sue idee sulla società: l’imperfezione delle manifatture antiche è segno della gioia che prova l’artigiano nel suo lavoro – e ciò si contrappone alla produzione industriale in serie e agli operai alienati. La perfezione dei prodotti di industriali è segno della loro schiavitù. Il povero Ruskin certo non si immaginava che le conseguenze di quello stesso apparato che criticava duecento anni dopo avrebbero rischiato di renderla invivibile, la sua amata Venezia.

Morris abbracciò allora la controcultura di revival medioevale che attraversò il mondo artistico e intellettuale britannico. Ciò che gli passò la lettura di Ruskin fu il concetto che prima di cambiare modo di vivere deve cambiare la mentalità che ha portato all’industrializzazione. Del medioevo non gli interessava certo la struttura verticale, ma la concezione del lavoro artigianale come atto creativo che dà soddisfazione. Nonché un’attenzione alla natura a cui (altro concetto mediato da Ruskin e fatto proprio) occorreva tornare nella creazione artistica perché la società vittoriana non permetteva che il benessere fosse accessibile a tutti – anzi a lungo andare risultava insostenibile per umani e non umani.

Come imprenditore allora Morris fondò un’impresa per creare opere d’artigianato di ispirazione medioevale che spianassero la strada a un nuovo modo produttivo. Purtroppo finì che fu la sua idea a dover adattarsi a un sistema che ne decretò la contraddizione: un’azienda che nasce per contrastare l’industrializzazione in nome del pensiero egualitario purtroppo deve vendere i propri prodotti a prezzo più alto rispetto alle stesse fabbriche. È questione di costo del lavoro e qualità della fattura dei prodotti.

Quanto alla letteratura, Morris scrisse poemi medioevaleggianti come The Earthly Paradise non certo per fuggire nel fantasy ma per parlare ai propri contemporanei della possibilità di un modo di vivere altro. Sayre e Löwy usano il termine meraviglioso di “critical unrealism”. News from Nowhere, utopia (anzi uchronia) in prosa appartenente all’ultima fase della sua vita – nella quale Morris entrò attivamente in politica – è l’apoteosi di questo tentativo di persuasione, spostato non sull’asse del passato romanzato ma del futuro futuribile. Il personaggio William Guest, dopo un’assemblea alla Socialist League, si addormenta nella sua casa di Hampstead e si risveglia negli anni Cinquanta del Novecento immaginati da Morris. È evidente che dev’essere successo qualcosa, dato che i fiumi sono azzurri, l’aria è buona, la gente sembra rilassata, nessuno lavora obbligatoriamente, gli oggetti si producono perché più o meno tutti sono artigiani, i bambini circondati da cultura desiderano apprendere da soli, i soldi non esistono e neanche la proprietà privata, non ci sono proprio gerarchie, nel matrimonio conta l’amore e non c’è contratto dunque neanche il divorzio. Guest allora si confronta con la memoria storica del luogo, il vecchio Hammond. Da lui deduce che la protesta Bloody Sunday del 1887 in questa linea temporale aveva innescato una rivolta che ha portato alla costruzione di un mondo nuovo a partire da alcune premesse. Primo: gli esseri umani desiderano di base lavorare, senza fare qualcosa si sentono miseri (in tempo di covid ci appare un concetto piuttosto familiare) quindi obbligare a lavorare è insano – e insano farlo per soldi. Quindi, via i soldi. È anche insano il prevalere degli uni sugli altri mentre desiderabile è che il valore alla base della società sia la ricerca di un modo di vivere dove tutti siano felici e dove la felicità di tutti sia reciprocamente tutelata. L’artigiano-artista e il suo sapere è la figura chiave di questo mondo, portatore di valori estetici e psicologici, passati e futuri e della soddisfazione della creazione. Questo modo di vivere permette di riallacciarsi all’armonia con il non-umano (e l’umano organico: i corpi) di cui va preservata la bellezza. Altro che l’utopia statalista di Edward Bellamy: rendere pubblici i mezzi di produzione – come poi verrà fatto in Unione Sovietica decenni dopo – per Morris non avrebbe spostato niente.

We sit starving amidst our gold, frase che proviene da uno dei pamphlet politici di Morris (“Sediamo affamati in mezzo al nostro oro”), fa sorgere dalla laguna l’egualitarismo, la spinta propositiva verso un cambiamento sostenibile e il rifiuto per tutto l’apparato che ha arricchito gente come Abramovič che già era nel pensiero di Morris. Che ancora oggi ispira, come un ideale impossibile da raggiungere ma a cui vale la pena tendere, eco-villaggi, esperimenti localisti ed esperienze in direzione ostinata, contraria e sostenibile. D’altra parte, News from Nowhere si chiude con parole che forse giravano nella testa di John Lennon quando ha scritto Imagine:  “Ma sarà stato un sogno? […] Sì, certamente! E se altri potranno vederlo come l’ho visto io, allora potremo chiamarlo visione invece di sogno”.

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