Sono a Venezia, ma non sono fuori dal mondo.
Ieri, mentre avevo davanti Toni Servillo uscito dalla macchina per fare foto, mi dicevo che ero in un posto bellissimo con della gente bellissima a celebrare un’arte bellissima. Eppure le parole del Ministro della Transizione Ecologica erano dentro di me, da qualche parte nel mio stomaco, a darmi fastidio e a farmi sentire offesa. Come me, credo molti si siano sentiti così, posso pensare ad almeno tre politici di professione che hanno preteso – giustamente – chiarimenti. Quanto a me, passata l’ondata emotiva iniziale, ho iniziato a cercare di capire, a livello filosofico, che cosa ci distanzi così tanto dal Ministro e perché le idee sul “fare qualcosa di sensato” siano così divergenti.

Bene, credo che il mondo ambientalista – nazionale e mondiale – più che una risoluzione del problema dell’anidride carbonica preso da solo, ragionando a compartimenti stagni, chieda un cambio di rotta del sistema. Lo diceva al Ted George Monbiot di cui ho parlato mesi fa. Perché il sistema cambi di rotta, tenendo conto dell’economia mondiale e del grande concerto delle nazioni che ci tiene tutti prigionieri del capitalismo, occorrono riconversioni, accorgimenti graduali perché il passaggio non sia traumatico, atti di vera resilienza di fronte a un futuro in cui da una parte avanzerà la desertificazione, dall’altra gli eventi estremi saranno sempre più all’ordine del giorno (e l’ultimo esempio è il disastro dell’uragano Ida a New York e nel New Jersey). Uno di questi accorgimenti poteva essere la riconversione degli allevamenti intensivi in Pianura Padana, da farsi con i soldi del PNRR: un treno che avrebbe potuto risolvere un problema senza mettere a rischio posti di lavoro, un treno oramai perduto.

Le nuove generazioni, e questo grafico di Pew Review ne svela un generale maggior impegno ecologico, probabilmente credono sempre meno in alcuni assiomi del sistema attuale, quelli che se li confuti sei insensato. Serpeggia l’idea che questo sistema non porti davvero benessere. Leggiamo questo report di Deloitte: il 41% di Millennials e il 46% di Z si sentono stressati “per la maggior parte del tempo” (pre-pandemia i risultati erano 44% e 48%) per questioni di microeconomia domestica, di futuro, di clima. Oppure “meno della metà dei Millennial e Z credono che il business abbia impatto positivo sulla società”: 7 Millennials su 10 sentono che il business “si concentra solo sulle loro agende senza pensare alla società in senso ampio”. In Italia molti della nuova generazione attenta all’ecologia sono talmente radical chic che sono tornati alla terra, Coldiretti registrava nel dicembre 2020 un +14% dei piccoli imprenditori agricoli, 55 mila under 35 alla guida di imprese agricole. E sono principalmente aziende improntate all’innovazione e alla sostenibilità. La terra non è più vista come una vergogna (l’offesa per gli studenti scarsi: vai a zappare!) ma come un’opportunità.

Cambio di rotta o mantenimento
dello status quo?

Il messaggio invece che arriva dall’alto è che possiamo continuare con lo status quo, ci pensa la tecnologia a mantenere alto il nostro fabbisogno energetico. A prescindere dai dati – che lo stesso Ministro dichiara di non avere, riguardo al nuovo nucleare: ha messo davanti un se alla frase è sicuro – alla base c’è un gap filosofico non da poco che ha a che vedere con l’abbassare i consumi o farli mantenere costanti. E, se è vero che un punto di vista è solo la vista da un punto, questo gap non lo si risolve con le offese.

Sono ancora a Venezia, dicevo. Ieri l’altro sono passata davanti alla casa di John Ruskin, ho visto degli yacht enormi parcheggiati alla fermata del vaporetto dell’Arsenale e non ho potuto non pensare all’artista e scrittore britannico William Morris. Forse la definizione di oltranzista ideologico gli sarebbe piaciuta e, dato che proveniva da famiglia ricca, anche radical chic gli si sarebbe adattato bene come epiteto. Ecco, voglio tornare a News from Nowhere per farvi riflettere su quanti decenni sono che una parte della controcultura critica il sistema per come sfrutta ambiente e persone. La nostra non è certo l’Inghilterra vittoriana, eppure abbiamo visto (dalla fine degli anni Novanta al fatidico 2008) come le crisi portino a rinegoziare i diritti conquistati in termine di condizioni lavorative o servizi pubblici.

William Morris e la sua utopia

Il mondo parallelo che William Morris descrive in News from Nowhere al contrario è pensato a misura di essere umano. La domanda alla quale si risponde è quella fondata del genere utopia: quale mondo costruire perché la maggior parte della gente viva bene? Nel nostro sistema si vive bene? E se non si vive bene, cosa possiamo fare per invertire la rotta?

News from Nowhere di William Morris è un’utopia, non un programma politico. Alle utopie si tende. Il fascino che esercita ancora oggi sui lettori, e soprattutto su quei lettori filosoficamente distanti dalle parole del Ministro, è dato dalla possibilità pensata di un mondo in cui non sono i soldi che fanno la felicità (non ci sono neanche) ma le relazioni umane e la collaborazione, questa straordinaria caratteristica che ha facilitato più volte l’essere umano nella sua evoluzione. Il fascino che esercita su di me, News from Nowhere, viene dal fatto che credo che Morris avesse visto giusto, avesse il diritto di immaginare un mondo diverso a cui è possibile tendere, pur venendo tacciato di utopismo e donchisciotteria (perché oramai a fine Ottocento l’industrializzazione era un dato di fatto). Chi non concorda con il Ministro, consapevolmente o meno, viene da quel pensiero, da quell’esempio.

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