Per tutto il mese di giugno, il mese del Pride, tutto il mondo è stato colpito da un’ondata di rainbow washing: iniziative, eventi, gadget ad hoc: proviamo a capire di cosa si tratta.

Rainbow washing è un neologismo derivato dall’unione di rainbow (arcobaleno) e dall’espressione inglese whitewashing ovvero imbiancare, coprire: si indicano così quelle azioni di marketing da parte di brand e aziende che, solo in vista del mese del Pride, si mostrano interessati alla lotta, con l’unico scopo di incrementare le vendite, mascherati da campagne di sensibilizzazione sulle tematiche LGBTQIA+. Vedi anche pink washing e green washing.

Come si riconosce il rainbow washing?

Viene attuato da quelle realtà che sfruttano il trend del momento per soli scopi di lucro e che durante il resto dell’anno tacciono sull’argomento, tenendosi ben lontane dalla sensibilizzazione quotidiana. Il Pride non è un trend, è una lotta seria, importante e necessaria. Non basta vendere dei gadget e dipingere il logo aziendale con i colori dell’arcobaleno per lottare contro l’omolesbobitransafobia.

Lo stesso Pride ufficiale è brandizzato da sponsor. Nella maggior parte dei casi, la manifestazione è affiancata, anche, da media-partner che avviano campagne di sensibilizzazione per la comunità LGBTQIA+ solo in quel mese: questo è il motivo per cui esistono sempre più collettivi che decidono di organizzare un pride alternativo, un pride autentico, fatto di persone della comunità, attivistə che dedicano ogni giorno della propria vita alla lotta per i diritti delle persone LGBTQIA+. 

Vogliamo un Pride autentico:
la parola al collettivo Officine MAI +

Ho fatto alcune domande al collettivo Officine MAI + per entrare ancora più profondamente nella questione. Si tratta di un movimento autorganizzato intersezionale che opera nel Salento, a Lecce: “siamo storie e vissuti personali e collettivi che si sono incontrati a sud est, pezzi di una comunità in evoluzione in una terra di confine, siamo persone terrone antifasciste, transfemministe intersezionali, sostenibili ecologiste, siamo frocie intergenerazionali” e persone unite, tra le altre, proprio nella lotta al rainbow washing. 

Quando è diventato intollerabile il rainbow washing? 
Il Rainbow Washing è diventato insostenibile nel momento in cui le reali necessità e tematiche della comunità LGBTQIA+ sono state invisibilizzate, dando piena priorità ad eventi, marchi e altro. In questo modo la società tutta, ha serie difficoltà a comprendere le esigenze e i disagi di una persona meno privilegiata. Il rainbow washing punta a manipolare e strumentalizzare e poi guadagnare sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, anche nel turismo (e noi in Salento ne sappiamo qualcosa). Non possiamo e non dobbiamo sottostare a questi subdoli e beceri meccanismi. Si parla molto di diritti e omogenitorialità, temi caldi anche in parlamento che non fanno altro che alimentare stereotipi eteronormativi e omologanti all’interno della nostra comunità. Abbiamo sicuramente bisogno di ottenere delle leggi a tutela di tali diritti, ma non a scapito di quella parte di comunità che non prova interesse a rientrare nei canoni del binarismo di genere. I temi da discutere dovrebbero riguardare ogni singola persona nella sua interezza, tenendo in opportuna considerazione anche i disagi che prova una persona transgender o non-binary nella sua quotidianità. Ci sono molti luoghi che vanno rieducati: la scuola, gli sportelli pubblici, gli ospedali. Noi vogliamo batterci per far sì che non ci siano più umiliazioni.”

Il Salento Pride è considerabile un evento commerciale a tutti gli effetti? 
Non siamo nella posizione di poter definire commerciale il Salento Pride perché non abbiamo accesso ai bilanci dell’associazione che lo organizza, né ci interessa averlo. Sicuramente però, possiamo affermare che sia un qualcosa di pensato e comunicato nella logica dell’evento: sponsorizzazioni, richiesta di contributi per parlare sul carro, la promozione che viene fatta, i video dei “personaggi importanti” che vengono invitati, il cartellone, lo fanno apparire più una trasmissione tv che una manifestazione politica, come invece dovrebbe essere il Pride nella nostra idea e visione. Non è facile bilanciare la parte politica e quella culturale e di intrattenimento, ma non si può escluderne totalmente una per semplificare ed evitare il conflitto: ci sono altri 358 giorni nell’anno oltre quelli della rainbow week.

Come riguadagnare l’autenticità della manifestazione?
L’autenticità della manifestazione si può recuperare avviando un dialogo continuo e costante fra tutte le realtà del territorio, che sia il più possibile partecipativo, includente ed inclusivo. La comunità è la stessa, gli obiettivi sono tanti e sicuramente c’è una complessità di fondo, ma non è più tempo di arroccarsi dietro posizioni personalistiche e parzialmente rappresentative di quelle che sono le istanze e le soggettività, altrimenti viene facile pensare che il Salento Pride sia solo un evento commerciale…

Credete sia opportuno boicottare i pride cosiddetti “ufficiali” e partecipare ad eventi alternativi, oppure sarebbe comunque importante sostenere entrambi? Quale rischio si correrebbe?
Crediamo che dipenda dalle situazioni e dall’organizzazione di ogni Pride in ogni singola città, ma soprattutto dipende da cosa accade. Il Salento è un territorio ancora molto piccolo, ma ci sono buoni propositi di crescita, anche grazie a festival e iniziative autonome che si discostano dal Salento Pride. Quest’anno Officine MAI + ha deciso, nella sua totalità, di non aderire al Pride ufficiale per divergenze politiche e per discostarsi dai ripetuti atteggiamenti di autoreferenzialità che Salento Pride ha ostentato negli ultimi anni. Ci piacerebbe molto esser promotorə del prossimo Pride, autonomo, indipendente, dal basso, per la comunità e con la comunità, ma soprattutto senza abusi di potere e associazioni privilegiate e ambigue.

E dunque, aggiungerei, partecipare al pride alternativo non significa boicottare il pride ufficiale, significa farsi sentire e dissentire, non lasciar passare inosservate tutte quelle azioni che svuotano di significato lo scopo della manifestazione. 

La rabbia e l’orgoglio

Il Pride è di tuttə? No, il Pride è di tutte quelle persone che ne conoscono le origini e sono arrabbiate, stanche di sentirsi in pericolo, di ricevere molestie, violenza verbale, psicologica e fisica, di vedere compagnə morire, di rischiare la vita per le strade (e non solo) ogni giorno, a causa dell’omolesbobitransafobia che vige indisturbata nella nostra società, nelle nostre scuole, nelle nostre istituzioni, nella nostra Italia e nel mondo. Si lotta ogni giorno, perché ogni giorno le persone della comunità LGBTQIA+ subiscono discriminazioni legate all’identità di genere o all’orientamento sessuale. 

Il Pride Month è necessario per dare una scossa, per arrivare proprio a chi non lotta ogni giorno, e magari un giorno lotterà, a chi ancora si tiene distante, nonostante la cronaca nera e l’attuale situazione socio-politica italiana.

Lottare e sensibilizzare è fondamentale perché non è giusto e non è umano non avere accesso agli stessi diritti, alle cure, alla sicurezza, per questioni di genere, di identità, di orientamento sessuale. 

Ringrazio Officine MAI + per la disponibilità e la condivisione, in particolare a Gaia (@73100gaya), Alessia (Zei Spazio Sociale) e Franz (Queer Market Show).

Condividi: