Dopo le tappe al Museo di Roma in Trastevere, a Biella ed a Bergamo, arriva, a partire dal 12 giugno fino al 10 settembre 2023, presso le Scuderie della Cavallerizza Reale di Torino, la mostra Stati d’infanzia. Viaggio nel Paese che cresce.

Sono 80 le fotografie esposte a firma del fotografo internazionale Riccardo Venturi insieme ad un documentario di 24 minuti realizzato da Arianna Massimi.

Stati d’infanzia è un progetto multimediale promosso e prodotto da Con i Bambini – Impresa Sociale nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile in collaborazione con il Consorzio Xké?, ZeroTredici e con il patrocinio di RAI Per la Sostenibilità ESG. La curatela è di Ilaria Prili dell’Associazione Akronos.

Il documentario Stati d’infanzia – Viaggio nel paese che cresce di Arianna Massimi ha ottenuto il riconoscimento come miglior cortometraggio della sezione Children World all’undicesima edizione del Prato Film Festival, ex aequo con Super Jesus di Vito Palumbo.

Ma è stato selezionato anche ad altri tre festival: il Los Angeles Italia Festival, che si è svolto dal 5 all’11 marzo, in vista della notte degli Oscar del 12 marzo; il Neap Film Festival, dal 16 al 20 maggio a Napoli; il Festival BCT (Benevento Cinema Televisione), in programma dal 20 al 25 giugno a Benevento.

Trailer_documentario

Cosa sognano i giovani?

Cosa chiedono a noi adulti? E soprattutto come rispondiamo e cosa offriamo a chi nasce e cresce nei contesti più svantaggiati? Sono molte le domande che, ogni giorno, genitori, educatori, nonni, insegnanti, pedagogisti, psicologi… affrontano.

Ho chiesto, in esclusiva per Rewriters Magazine, agli autori del progetto Stati d’infanzia, di rispondere e raccontare la loro esperienza e visione scaturita sul campo.

Arianna e Riccardo, parto dal titolo, riportando l’espressione “viaggio nel Paese che cresce”. La crescita è un elemento imprescindibile della vita umana. Come cresce attualmente il nostro Paese ed in particolare bambinə e ragazzə, cioè il nostro futuro? 
Arianna: il titolo “Viaggio nel Paese che cresce” fa riferimento proprio al concetto che il progetto si propone di esplorare: la situazione dei bambini e dei ragazzi in Italia, che rappresentano il futuro del nostro Paese.

Riccardo: volevamo anche sottolineare l’importanza della crescita nel percorso umano, con un focus specifico su come sta crescendo il nostro Paese e cosa sta offrendo ai bambini e ragazzi italiani.

A: Inoltre il nostro lavoro è stato un vero e proprio viaggio durato due anni, che ha attraversato tutto il territorio italiano. Durante questo percorso, abbiamo scelto di concentrarci soprattutto sulle modalità e approcci non formali che vengono promossi dall’Impresa sociale ‘Con i Bambini’ da Nord a Sud Italia lasciando voce e spazio principalmente ai protagonisti diretti di queste attività.

R: Esattamente, è fondamentale mettersi nei loro panni e coinvolgere la comunità nel sostegno e nell’educazione dei giovani. Solo attraverso un dialogo costruttivo e un impegno collettivo possiamo creare un futuro migliore per i nostri ragazzi. Quindi l’espressione “Viaggio nel Paese che cresce” fa riferimento proprio a questo: un viaggio attraverso la crescita non solo dei bambini e adolescenti, ma anche delle comunità all’interno delle quali si sviluppano i ragazzi. 

Avete detto che il viaggio su tutto il territorio italiano è durato due anni. Cos’è cambiato in voi e quale approccio considerate, adesso, fondamentale per creare quel ponte che permette il dialogo intergenerazionale? 
A: per me è stato fondamentale fare riferimento a un concetto molto semplice: quello della “distanza ravvicinata”. Quando abbiamo iniziato a sviluppare questo lavoro mi sono chiesta quale fosse l’approccio migliore da utilizzare per mantenere la forza e la realtà del racconto, senza tuttavia spettacolarizzare le difficoltà (emotive e non) dei bambini e ragazzi che abbiamo intervistato. Nell’ottica di una re-interpretazione del concetto di giusta distanza, in diverse situazioni ho deciso di fare un passo in più verso l’altro, di mettermi in gioco anche con una parte della mia emotività e far sì che si instaurasse un rapporto di fiducia reciproco. Credo infatti che per creare quel “ponte” che permette il dialogo intergenerazionale, l’ascolto empatico sia fondamentale.

R: personalmente vengo da circa 30 anni di carriera nel mondo del fotoreportage; ho lavorato spesso in teatri di guerra internazionali e da anni mi occupo del tema dell’infanzia in Italia avendo collaborato a lungo anche con Giulio Cederna nella realizzazione dell’Atlante dell’Infanzia a Rischio. Da parte mia è fondamentale confrontarsi con l’altro senza imporre la propria lettura del mondo e della realtà, mantenere una mentalità aperta ed essere sempre aperti al dialogo e all’ascolto dell’altro. Dal mio punto di vista dobbiamo essere pronti ad ascoltare ed a imparare dai giovani, riconoscendo il valore delle loro esperienze e opinioni e, allo stesso tempo, dobbiamo condividere le nostre conoscenze e offrire il nostro sostegno, in modo che possano trarre beneficio dalle nostre esperienze. Questo dialogo intergenerazionale è essenziale per costruire una società più inclusiva e solidale. 

Visi, storie, occhi, sorrisi, difficoltà, risate, lacrime, potenzialità, dipendenze, bullismo, paure, speranze, riscatto… Sono una parte dei molti aspetti catturati dalle immagini e video del vostro progetto Stati d’infanzia
A: attraverso il documentario, ho cercato di trasmettere la complessità delle esperienze dei ragazzi, mettendole comunque all’interno di una cornice “adulta” rappresentata dalle interviste fatte a Marco Rossi-Doria e a Vanessa Pallucchi. Ho affrontato tematiche importanti: dalla tossicodipendenza, ai problemi alimentari toccando anche il tema degli abusi familiari, ma il vero filo conduttore alla fine è stato rappresentato dalle speranze che li guidano e, soprattutto, dai momenti di riscatto in cui superano le avversità. Il mio obiettivo era quello di mostrare la realtà autentica dei giovani italiani e offrire un’occasione di confronto e riflessione su queste tematiche.

R: il fil rouge di tutto il reportage fotografico è stato sicuramente il concetto di “tempo sospeso”; il tempo sospeso e dilatato dell’infanzia in cui le giornate sembrano non finire mai, in cui ogni piccola cosa è motivo di meraviglia e curiosità. Stati d’Infanzia a livello visivo è una riflessione anche su me stesso, sul ricordo della mia infanzia e forse una ricerca di quel senso di leggerezza che caratterizza la vita di qualsiasi bambino, sia esso in una situazione di disagio o meno. Questo lavoro mi ha permesso di mettere in luce tematiche importanti come la povertà educativa, le dipendenze, il bullismo e le paure che affliggono molti giovani ma è anche un’opportunità per riconoscere il riscatto e la resilienza di questi ragazzi, che nonostante le difficoltà trovano modi per superare gli ostacoli e perseguire i propri sogni.

Stati d’infanzia: 2 storie particolari

Vi chiedo di fare dono a chi legge di una storia o situazione che vi ha particolarmente colpiti. Un frammento che ha suscitato empatia quindi humanitas e che porterete con voi nel cuore. 
A: la storia di Blaze. Blaze è un giovane ragazzo romano cresciuto nel Bronx di Torrevecchia. Nato da padre ugandese e madre russa, non ha mai conosciuto il primo e ha sempre avuto problemi con la seconda. La madre infatti era giovanissima quando è nato e lo ha affidato alle cure della nonna che gli ha insegnato a parlare fluentemente russo tra le altre cose. Purtroppo il suo rapporto con la madre peggiora per via dei problemi di alcolismo di lei e alla fine Blaze viene messo in casa famiglia. Oggi lavora stabilmente come bartender nei migliori locali di Roma e ha in programma di trasferirsi negli Stati Uniti.

R: la storia di Jimmy. Jimmy è un ragazzo che è nato e cresciuto a Roma nel quartiere Pigneto. La sua storia mi ha molto colpito perché mi sono trovato davanti un ragazzo brillante, sveglio, sicuramente sopra la norma che è finito vittima dell’eroina e delle dipendenze. Oggi sta meglio, lavora e vuole riprendere gli studi.

Ringrazio di cuore Arianna Massimi e Riccardo Venturi per il progetto creato, vissuto e poi regalato a tutti coloro che visiteranno la mostra, nonché per le immagini concesse a corredo articolo.

Mi piace concludere cosi: c’è una capacità di meraviglia originaria insita in ogni bambinə, ed è questa dimensione che la pedagogia dovrebbe coltivare, risvegliando la gioia di apprendere e prima ancora la gioia semplicemente di essere.

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