Agli Oscar 2024 la statuetta per miglior sceneggiatura non originale è stata assegnata al film American Fiction. Un piccolo paradosso che fa sorridere dato che il film parla proprio di uno scrittore e le difficoltà che ha nel combaciare la sua arte e l’aspettativa dei lettori. Il lungometraggio esordio di Cord Jefferson, basato sul romanzo Erasure di Percival Everett, si prende la responsabilità di raccontare una storia senza la morale. Il film è ora disponibile in abbonamento sulla piattaforma PrimeVideo.

La storia di American Fiction è costruita in maniera classica e lineare: Thelonious Ellison detto Monk è uno scrittore e professore universitario. La sua carriera è in crisi. I suoi libri non vendono e la sua cattedra di docente salta. Thelonious è inquieto. Oltre ad una madre malata a cui pensare ed un rapporto complesso con sua sorella e suo fratello, le preoccupazioni del protagonista sono rivolte verso la considerazione che si ha in America dei neri.

Monk è stanco di vedere colleghi afroamericani pubblicare romanzi che alimentano una cultura black fatta di rap, ghetto, poliziotti violenti e miseria. In particolare, assiste al successo di una scrittrice, Sintara Golden, anche lei di colore, che racconta una società afroamericana fatta esclusivamente di stereotipi. Agli occhi dello scrittore si tratta proprio della solita storia afroamericana scritta per compiacere quella cultura bianca conservatrice e discriminatoria.

American Fiction
Foto da Orion Pictures
Monk affronta Sintara Golden in una discussione. Foto da: Orion Pictures

La svolta inaspettata

La svolta arriva quando il protagonista decide di fare la stessa operazione. Scrive un libro fatto di stereotipi, banalità e tutto ciò che rinchiude la cultura black nel disgustoso e retrogrado immaginario del ghetto. Lo fa come provocazione verso gli editori, come segno di protesta. Ma la risposta è comicamente sorprendente. Il libro piace, riceve un contratto di migliaia di dollari, e diventerà il best seller americano del momento sotto lo pseudonimo di Starr H. Leigh con cui Thelonious decide di firmare questo scherzo provocatorio.

Le conseguenze dello sfogo letterario arriveranno a esiti inaspettati. Il libro Fuck vince un premio letterario e viene opzionato per farne un film. E qui, nel finale, Cord Jefferson produce un geniale cortocircuito narrativo. Monk propone al regista di scrivere un film che non parli di Fuck ma della vera storia che c’è dietro il libro. E così Il film in produzione basato sul Best Seller Fuck potrebbe diventare il film che noi stiamo guardando. Lo stesso regista decide di rompere la cosiddetta quarta parete per farci assistere a diversi finali possibili in cui storia del film e struttura filmica entrano in contatto. D’altronde lo stesso titolo American Fiction vuole essere provocatorio proprio in questa direzione immergendo la storia in un genere leggero e privo di morale.

Scena dal film American Fiction
Foto da Orion Pictures
Monk e Coraline in passeggiata. Foto da: Orion Pictures

La forza di questo film è sicuramente il brioso clima satirico in cui le cose accadono. Si sorride amaramente davanti a beceri insulti razzisti, alle malattie e persino difronte alla morte. Ma in questo clima dissacrante non si perde mai la bussola e non si scade nel ridicolo o nel demenziale. Il rapporto con i fatti, con il piano della realtà viene sapientemente mantenuto integro e trattato anche con grande delicatezza. Le relazioni come quella tra madre e figlio, quelle amorose o lavorative sono disegnate con dialoghi concreti e sinceri.

American Fiction 
Foto da Orion Pictures
Sintara Golden presenta il suo libro We’s Lives In Da Ghetto. Foto da: Orion Pictures

Un eroe senza morale

Jeffrey Wright, protagonista del film nel ruolo di Thelonoius Ellison Monk restituisce una grande interpretazione sullo schermo. L’attore per la prima volta ha ricevuto la nomination come miglior attore protagonista agli Oscar sebbene già in passato aveva dato prova di essere un attore di grande spessore.

La sua interpretazione è tragicamente comica: cerchiamo di empatizzare con un eroe la cui impresa sembra quella di un paladino della giustizia ma finisce per essere la ricerca di una affermazione arrogante di . Laddove il bisogno di soldi, la frustrazione dovuta al confronto con la società, il capitalismo, tolgono l’ossigeno, Monk cede e abbandona la sua vera istanza creativa, pur di diventare qualcuno. Emblematica di questo è la scelta di pubblicare questo nuovo libro sotto lo pseudonimo di Starr H. Leigh, con cui inconsciamente Monk tutela la sua integrità da vergogna e senso di colpa. Un vero autosabotaggio morale che ridefinisce la sua identità. Sbagliata, spregiudicata e disillusa.

Foto da Orion Pictures
Monk porta scatoloni nella nuova sistemazione della madre accompagnato dal fratello e dalla sua compagna. Foto da: Orion Pictures

Il metacinema di “American Fiction”

Il film procede in parallelo tra la storia della pubblicazione del Libro Fuck e le vicende famigliari e personali che interessano Monk. Qualcuno potrebbe criticare ad American Fiction un’inconcludente spinta moralizzante che non sfocia nel tipico messaggio su cui riflettere nel finale. Ma è questa invece la sua forza, quella di essere semplicemente una storia, in cui avvertiamo ideali, ingiustizie e problemi sociali senza però che questi appiattiscano o distruggano la storia personale dei personaggi.

In una costruzione metacinematografica il regista Cord Jefferson e il protagonista Thelonious Ellison Monk agiscono nello stesso modo. Il protagonista non vuole essere considerato uno scrittore da categorizzare in libreria fra la letteratura afroamericana, ma uno scrittore e basta.

Cord Jefferson fa lo stesso: non scrive e dirige un film sui diritti civili, sulla cultura black, ma ci restituisce la vita vera delle persone con una delicata ironia. Così la rappresentazione stereotipata dell’uomo di colore che indossa stracci e lavora da schiavo nelle piantagioni può apparire solo nel finale come comparsa che attende di entrare in scena fuori dagli studi di Hollywood di chissà quale film, mentre Monk se ne va in macchina con il fratello. Ecco forse gli unici ad essere messi al muro, ma sempre sotto il dispositivo dell’ironia, sono le case editrici americane e la stessa macchina produttiva di Hollywood.

E Monk? Sicuramente ha commesso degli errori e preso scelte immorali di cui non c’è da essere fieri. Ma questo allontana il protagonista e la sua storia dalla favola e lo avvicina alla vita vera, complessa e spesso senza la morale.

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