“C’è ancora domani”: perchè le scene di violenza diventano un balletto?
Spoiler alert: non leggere questo articolo se non hai visto "C'è ancora domani"!
Spoiler alert: non leggere questo articolo se non hai visto "C'è ancora domani"!
Su questa testata di C’è ancora domani ne ha già parlato Enrica Accascina, nel suo bell’articolo, ma io ho qualcosa da aggiungere, e mi piacerebbe leggere i vostri commenti, per capire se la mia sensibilità è ormai definitivamente vintage e agée oppure ci sono ancora speranze di non sentirsi sole, in questo oggi così complesso.
Prima di tutto, ho una domanda che mi fa arrovellare: perchè quando lui picchia lei, la scena si trasforma in un balletto surreale? Un modo per far digerire sequenze che altrimenti sarebbero eccessivamente truci e drammatiche? Non credo. Per comunicare una dinamica disfunzionale di coppia? Spero proprio di no, cadremmo nell’imperdonabile tranello della vittimizzazione secondaria, in cui la vittima diventa corresponsabile.
E allora perchè? Forse per dare il senso della follia? Oppure, invece, per sottrarre la narrazione dal tempo sincronico con la realtà e trasportarla in un tempo circolare, dove lividi e ferite appaiono e scompaiono, si ripetono, si stratificano, si sovrappongono, guariscono e tornano a sanguinare, dove la violenza non è un fatto unico ma un Leitmotiv, un motivo conduttore (termine tedesco che indica appunto un tema musicale ricorrente associato ad un personaggio, un sentimento, un evento, usato soprattutto nell’ambito dell’opera lirica e delle colonne sonore). Chiederò a Cortellesi.
Ma entriamo nel commento al film: straordinario, potente, originale, attuale, educativo. Soprattutto, però, sconvolgente. Ad avermi sconvolta non è stato tanto il magistrale colpo di scena, in cui lei non sta preparando la sua fuga d’amore ma la sua prima volta alle urne, no. Mi ha sconvolta accorgermi che l’equivoco non è stato costruito dalla sceneggiatura, ma dalle nostre teste. Dai pregiudizi nelle nostre teste. Si chiamano bias, stereotipi introiettati. L’assunto, anche per una donna emancipata, femminista, consapevole, come me, che le donne aspirano all’amore.
Infatti, non ci sono indizi che riguardano una fuga d’amore: siamo noi spettatrici e spettatori che attribuiamo ad indizi neutri, il significato di cui sopra. Siamo noi che, mentre la protagonista escogita il suo piano per riuscire ad andare a votare, crediamo che stia pianificando la fuga con l’uomo che in realtà ama (a differenza del marito che la considera una proprietà e la picchia).
Ovviamente Cortellesi in C’è ancora domani gioca proprio su questo bias, ci conduce proprio a riflettere sul fatto che la libertà è più desiderabile dell’amore, perchè senza libertà non può esistere amore autentico, che implica una scelta autonoma. Non a caso, alla fine del film, arriva la citazione della giornalista Anna Garofalo, che il 2 giugno 1946, per raccontare quella che divenne una giornata memorabile (appunto per la prima volta le donne potevano votare):
“Stringiamo le schede come biglietti d’amore“.
Un messaggio potente, oggi soprattutto che abbiamo perduto la storia della nostra libertà e non andiamo più a votare. Oggi che stiamo facendo marcia indietro sui diritti. Oggi che deve venire in soccorso il Papa, laddove il Governo fa da padre padrone e il Parlamento non legifera.
4 Commenti
Quando ero poco più che bambino, e parliamo dei primi anni 70, ricordo che una mia compagna di scuola, in un “pensierino” (per chi non sapesse o non ricordasse, erano dei mini (mini) temi, raccontò di suo padre che, quando arrivava stanco dal lavoro e la mamma lo faceva arrabbiare, era solito chiudersi in camera da letto con la moglie e, accesa la radio, ad alto volume, “ballava” con lei, ovvero era ciò che lei percepiva dal di fuori di quella camera. So di ciò perché all’epoca, seppur in quegli anni di diritti ancora “acerbi”, la lungimiranza di una maestra e del marito Carabiniere, portò all’allontanamento dell’uomo dalla moglie e dalle figlie per violenze ed abusi domestici.
Dal mio punto di vista le scene surreali dei balletti minimizzano il dramma e possono risultare poco rispettose nei confronti di quelle madri e/o di quei figli che hanno vissuto realmente simili tragedie familiari.
Sono d’accordo con il tuo pensiero. Anche a me non è piaciuta la scena del balletto che ha stonato con la pregnanza degli altri contenuti del film. Che non era in nessun modo una commedia musicale…( Aldo)
Eugenia, non credo sia stato un bias, per me era una speranza. La fuga sarebbe stata l’equivalente della libertà. Il meccanico non sembrava (e forse qui mi sbaglio considerando le scene pre-matrimoniali) un padre padrone.
Hai ragione sul fatto che senza libertà non può esistere amore autentico.
Un abbraccio.