Un’artista che lavora con i meccanismi come postproduzione, YouTube, musica underground, riconvertiti, però, in un’estetica fluo e costumi cyberpunk. Tra le sue mostre principali ci sono NITJA Centre for Contemporary Art di Oslo e la 19ª Biennale del Mediterraneo di San Marino, mentre, tra le mostre personali di Corinne Mazzoni, il top a nostro avviso è stata Academy Young: Tutorial non-convenzionali al Museo MA*GA di Gallarate.

Corinne Mazzoli è una sound artist nata a La Spezia nel 1984 che vive e lavora a Venezia ed è anche performer e videomaker. Una sorta di esistenza dedicata all’arte performativa, insomma.

Ritratto dell’artista di Claudia Rossini @venice__shots

Miro a far riflettere su problematiche legate alla rappresentazione e al posizionamento della donna all’interno della società moderna. La performance è un mezzo importante perché insegna, a me in primis, le problematiche del suo collocarsi. Studio i comportamenti, le manie, le mode passeggere, le attitudini delle persone. Inoltre, gioco alla creazione di mondi alternativi. Il montaggio video, in questo, è fondamentale, mi aiuta a rafforzare messaggi inesistenti. Distribuisco slogan vuoti e frasi fatte tipiche del sistema pubblicitario, e le trasmetto tramite l’uso di immagini, locandine, video, performance. Collaboro spesso con musicisti Noise e Power Electronics che trattano nella sua forma più pura il rumore, che tendo ad accostare a immagini sessualmente intriganti o estremamente trash“.

Queste le sue parole per raccontare il suo lavoro, decisamente in linea con l’oggi, quello di Banksy&Co, per intenderci, che considera l’arte anche una forma di attivismo. Mazzoli ci piace asssai proprio per questo, e per la capacità di usare media diversi per esplorare i pregiudizi inconsapevoli, i bias, gli stereotipi di genere che ci guidano quotidianamente. E lo fa mixando ricerca teorica, disciplina pedagogica e indagine laboratoriale.

Il suo focus sono tendenze, life style, digitale, il tutto fuso con critica distopica, critica sociale, ironia. Un mondo sempre connesso, il nostro, che per lei diventa soggetto d’arte. Ed ecco, allora, che le persone che si filmano mentre ballano nelle proprie cucine o camere da letto diventano auto-rappresentazioni per descrivere la liquidità contemporanea. Se da un lato – sembra dirci l’artista – il metaverso dei social media favorisce l’omologazione, dall’altro può attivare nuovi discorsi, nuovi paradigmi: essere usato per riscrivere l’immaginario.

Il suo lavoro (e il suo attivismo) si basa sul tentativo di scardinare la visione binaria del mondo. Nella performance Orbita Zero, si mette in scena un connubio tra la Pole Dance e il Theremin:

il Theremin è uno strumento musicale elettronico nato in origine per uso militare, che si suona senza la necessità di un contatto fisico – ha spiegato l’artista a Giada Pellicari. Di conseguenza, una ballerina avrebbe dovuto muoversi attorno ad esso. Successivamente ho riflettuto sul contrasto che il contatto fisico avrebbe potuto generare a contatto con il palo, quindi la Pole Dance mi è sembrata perfetta per dare origine a un set stridente. Con l’aiuto di Raffaello Bisso, ho “creato” un Theremin gigante, una sorta di arma sonica da innescare per mezzo di figure di Pole Dance.La ballerina doveva comportarsi come un soldato: ad ogni mio ordine aveva l’obbligo di salire sul palo, eseguire la figura e tornare in posizione. Il palo reagiva alla sua vicinanza emettendo fischi e suoni di varia natura“.

Il nostro lavoro preferito, però, è quello di Tutorial #1: How to get a Thigh Gap, con cui ha vinto il premio Stonefly, e di Tutorial #2: How to Cruise with a Bruise, presentato a Live Works performance act award vol. 2, perchè entrambi parlano di donne, usando linguaggi super pop come quelli della viralità di internet e della pubblicità. Se il primo allude alla vendita di un oggetto di tortura spacciandolo per un accessorio di bellezza, il secondo promuove il makeup livido da sfoggiare nella vita di tutti i giorni.

I suoi sono scenari fantasy e onirici, conditi da trash e fluorescenza. Camp e kitsch diventano citazioni di se stessi in un emblematico e surreale non-sense. Complimenti, allora, a questa classe ’84, Spezina di nascita e veneziana d’adozione, formata allo IUAV di Venezia e poi in residenza alla Fondazione Bevilacqua La Masa: vi lasciamo con una sua opera che ci fa impazzire.

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