Nessuno meglio di Abraham B. Yehoshua potrebbe descrivere il muro invisibile che separa arabi ed ebrei in terra di Palestina. Nel suo romanzo L’amante, l’autore snoda una narrazione avvincente che sgomenta, perché ci fa toccare con mano l’isolamento che i due popoli vivono l’uno nei confronti dell’altro, nonostante conducano le loro vite l’uno al fianco dell’altro.

Il romanzo riesce a dipingere la quotidianità della cittadina di Haifa durante la guerra del 1973 con uno stile narrativo di grande originalità, alternando più voci narranti, che non sono altro che i protagonisti della storia. Anzi spesso la stessa vicenda è raccontata prima da un personaggio e poi da un altro, offrendoci punti di vista differenti dello stesso fatto.

Una modalità narrativa affascinante, che ci lascia disarmati davanti ad una banale certezza: e cioè che ciascuno di noi vede, sente e vive in modo diverso esperienze comuni.

Il racconto della possibile/impossibile convivenza tra arabi ed ebrei emerge in tutta la sua drammaticità, delineando una tensione palpabile: vivono fianco a fianco, lavorano insieme, si salutano, si incrociano per strada, gli uni consegnano la spesa agli altri, gli arabi lavorano presso gli ebrei, condividono spazi e tempi, eppure non si conoscono affatto, non sanno nulla delle loro esistenze, e si scrutano sempre con diffidenza.

Mai fino ad oggi avevo letto qualcosa di così efficace nello spiegare la dolorosa convivenza tra due popoli che si contendono la stessa terra. Nessun altro autore era stato per me così tagliente nel raccontare l’incomunicabilità tra due culture così diverse tra loro eppure così vicine da sfiorarsi ogni giorno.

Haifa è una di quelle città chiamate in ebraico ‘arim me‘oravot, cioè città miste. Nel romanzo di Abraham B. Yehoshua la città di Haifa emerge come una città silente in cui la grande conflittualità è nascosta sotto una patina di omertosa accettazione dell’altro. La città alta è abitata dagli ebrei, benestanti e colti, la città bassa è abitata dagli arabi, poveri e ignoranti. Eppure ogni giorno queste differenti culture si mescolano, si intrecciano, senza tuttavia mai compenetrarsi.

Ma quando poi questi due mondi sovrapposti vengono a incrociarsi nelle vite private di alcuni dei personaggi, ecco che improvvisamente si scardina quel muro invisibile di incomunicabilità, e si scopre l’altro, con le sue diversità, spaventose o buffe, divertenti o incomprensibili. E per un attimo sembra che ci si possa sentire vicini e simili. Ma è solo un’illusione, perché l’incomunicabilità ricompare inattaccabile, e torna inesorabile a prendersi gioco di tutti.

Il titolo L’amante può apparire fuorviante, perché il romanzo offre una visione plurale della storia e si rivela uno spaccato della terra d’Israele di incredibile profondità. Eppure è proprio intorno ad un amante che ruota tutta la storia, o meglio intorno alla ricerca di un amante perduto, scomparso, dileguato.

E in realtà tutto il romanzo non racconta altro che perdite, smarrimenti, scomparse: la perdita di un figlio, il disfacimento di una famiglia, la morte di un fratello terrorista, lo svanire di un sogno di carriera scolastica per ripiegare su un lavoro di meccanico. Ciascun personaggio perde qualcosa, in una incessante ricerca di se stesso.

La penna di Abraham B. Yehoshua è straordinaria nel dipingere le tensioni nei dialoghi, le incomprensioni, i non detti, i sottaciuti, i fraintendimenti, in una convivenza tra arabi e israeliani che si fa sempre più aspra e tesa, mentre anche la convivenza intima della famiglia protagonista diventa via via più difficile, tra una moglie depressa e silenziosa che si butta solo nel lavoro dopo la perdita del figlio, un marito che scopre di non amarla più, e una figlia che non riesce a decifrare questa lontananza tra i suoi genitori.

E in tutto questo, la sola idea che questa donna ingrigita dal tempo, appesantita dal dolore, e incurvata dai pensieri, possa avere un amante, sembra farsi strada con fatica nella mente del lettore. Ma poi prende corpo con sempre maggiore forza, delineando una storia non solo possibile, ma la sola credibile.

Quando ho scelto di leggere L’amante non mi aspettavo un romanzo così corale, in grado di raccontare i disagi di così tanti personaggi, ciascuno descritto con grande profondità. Non mi aspettavo neanche un romanzo così analitico nel dipingere gli aspetti socio-culturali della terra d’Israele, pur conoscendo la grande capacità letteraria di Abraham B. Yehoshua.

Il quadro che ne emerge è una terra dilaniata, in cui vengono dilaniati anche gli stessi sentimenti di chi la vive, nell’impossibilità di esprimere le proprie emozioni e nell’impossibilità di un punto di incontro.

Un romanzo che va assolutamente riletto, oggi più che mai, perché l’incomunicabilità ordita tra ebrei ed arabi è la stessa che si sta tessendo in questi mesi tra ucraini e russi, alzando un muro che potrebbe non crollare mai più.

E mi è venuta in mente l’opera di street art Marte Gaza, di Mauro Magni, dipinta su una parete di cemento armato nel centro storico di Viterbo. Un’opera di cui ho già parlato per Rewriters, in cui l’incapacità di costruire la pace tra arabi ed ebrei è resa palpabile attraverso una preghiera corale in cui l’invocazione O Dio si trasforma nella parola odio, a sottolineare l’incapacità di immedesimarsi nell’altro.

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