Il caso, controverso, della Tennista cinese Peng Shuai dapprima scomparsa a seguito della denuncia di molestie subite dall’ex vice premier, Zhang Gaoli e poi, a seguito della mobilitazione internazionale anche della Federazione Mondiale Tennis, recentemente ricomparsa in alcuni video trasmessi dalle autorità cinesi sulla cui autenticità non tutti sono concordi, è solo l’ultimo e più eclatante caso di assenza di libertà e di diritti per le donne, quale che sia il loro status sociale, nel dire la verità e denunciare gli abusi.

Nonostante il governo di Pechino si ostini a dire che il caso è stato montato ad arte e che nulla di ciò che si è voluto fare intendere sia veritiero, la coincidenza dei tempi lascia molti dubbi. Risale al 2 novembre infatti l’ultima interazione della 35enne stella del tennis che, in un post social, accusava di stupro il settantacinquenne ex vicepremier ed ex membro dell’ufficio politico del partito comunista di Pechino.  Diceva di non avere prove per sostenere la sua accusa, ma chiedeva di essere creduta. Da quel momento il buio. E’ a quel punto che la WTA – Women’s Tennis Association, attraverso le vie ufficiali e la campagna social #WhereIsPengShuai sostenuta da tutti i numeri uno del tennis mondiale, ha messo in atto una pressione mediatica volta a scoprire la verità. Nessuno infatti crede ai video e alle foto fatte circolare per dimostrare lo stato di salute dell’atleta.

Se, come mi auguro, questa vicenda si concluderà in maniera positiva, complice anche la caratura internazionale che ha ricoperto negli ultimi giorni e la sfida lanciata dalle istituzioni sportive alla Cina, non possiamo ignorare come in altre centinaia, migliaia, di casi nel mondo la conclusione sia ben diversa.

Una donna abusata spesso subisce violenza più di una volta. Al momento dell’aggressione certo, ma anche quando, riuscendo a trovare il coraggio di denunciare, non viene creduta, viene scandagliato ogni dettaglio della sua vita per trovare una giustificazione per il suo aggressore, oppure quando viene indotta o addirittura costretta, al silenzio.

Perché, se in paesi come la Cina è ancora possibile che una vittima di violenza che denuncia possa sparire nel nulla per giorni, è altrettanto vero, e non meno grave, che in Paesi più democratici ad una donna stuprata si chieda ancora come era vestita o cosa possa aver fatto per provocare una reazione violenta dal proprio compagno.

Il libro di Valentiza Pitzalis – Ed. Mondadori

E mi rendo conto che il paragone suoni forte e probabilmente anche forzato, ma non lo è. Perché in entrambi i casi l’unica vittima che paga il diritto di poter dire la sua verità è chi denuncia. Penso a Valentina Pitzalis, a cui l’ex marito che non si rassegnava alla separazione ha tentato di dare fuoco, sfigurando completamente lei e rimanendo ucciso durante l’incendio. L’incubo di Valentina è proseguito quando si è ritrovata a passare da vittima ad accusata di omicidio. La madre dell’ex marito, insieme con un pool di avvocati, sosteneva infatti che fosse stata lei a provocare l’incendio, o quantomeno a provocare il marito. Valentina è stata assolta da tutte le accuse e la sua verità, raccontata anche in un libro, alla fine ha vinto, ma quanto le è costata questa libertà?

Il punto è proprio questo. Spesso chiediamo alle donne di denunciare abusi ed aggressioni ma poi non si è in grado di proteggere questo diritto alla denuncia. E allora il caso Peng, il caso Pitzalis e tantissimi altri casi di donne che dopo aver denunciato hanno visto la propria vita addirittura peggiorare, finiscono per ledere il diritto inalienabile alla giustizia e alla verità.

In occasione della Giornata Internazionale Contro la violenza sulle Donne, è importante sottolineare quanto questa, la violenza, non sia sempre visibile e spesso neppure così chiara. Alle volta è subdola, è infida, si inserisce nelle piaghe della mente di una donna e ne alimenta la paura.

Se davvero vogliamo combattere la violenza contro le donne allora accresciamo il loro diritto alla libertà di denunciare, libere non solo dalla paura, ma anche dai troppi se e dai troppi ma che sono costrette ad affrontare.

“Sono Solo Complimenti” – Logo

Il suggerimento che vi lascio questa volta non è solo un approfondimento della tematica, è un progetto concreto che aiuta le donna, soprattutto le più giovani, a raccontare le proprie storie, a denunciare, a sentirsi libere, in totale anonimato, di condividere il proprio dolore. Per aumentare una cultura della denuncia, lo staff di Sono Solo Complimenti, questo il nome del progetto, ha creato un sito internet, una pagina instagram e un supporto telefonico  con l’obiettivo di ascoltare, sostenere, raccogliere e diffondere storie di violenze, abusi, molestie, catcalling e street harassment.

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