Ho visto Don’t look up. Film distopico e potente. Non mi è piaciuto solo perché detesto i film che finiscono male. Soprattutto se questa fine riguarda proprio tutta l’umanità. Il messaggio però è chiaro e forte. Non ci si può continuare a lamentare e poi nella realtà continuare ad agire proprio come se nulla fosse.

Rewriters ne ha già parlato ampiamente: il film parla dell’impossibilità, da parte di alcuni scienziati, di sgretolare, nelle élite politico-economico-militari e nella coscienza della popolazione, quell’asservimento al demone del capitalismo che ha avvelenato ormai l’umanità intera rendendoci incapaci di coltivare nuove utopie.

Il riferimento alla crisi climatica attuale è evidente e l’invito a guardare in alto è tutto nell’urlo diacrono dei due protagonisti che cercano disperatamente di squarciare la durissima corazza di inerzia che racchiude inossidabile i nostri cuori, rendendoli deboli di fronte alla necessità di agire in modo rivoluzionario anche a costo di dover sostenere le conseguenze delle trasformazioni che questo rapido ma necessario cambiamento potrebbe comportare. Potrebbe.

Il nucleo buono del film l’ho percepito nella parte finale in cui i vari personaggi affrontano la catastrofe. Ognuno esattamente per come ha vissuto: chi bene, nel bene; chi male, nel male.

Istruzioni per l’uso dei dati

Però, sebbene il messaggio abbia una sua profondità a me non basta, perché io voglio assolutamente il lieto fine, soprattutto e certamente nella realtà! Il film qui offre una chiave interessante. Per vincere, infatti, più che le verità dette servono (soprattutto in chi ascolta e ammesso che sia in buona fede) istruzioni per l’uso della conoscenza e della sensibilità, per distinguere, nel gran fiume dell’informazione (o della disinformazione) disponibile, ciò su cui vale la pena di costruire la propria opinione da ciò che arriva per confondere, per annacquare, per lasciar tutto com’è o peggio.

Parlare di istruzioni per l’uso, invece che di verità, ha il pregio di poter intavolare un dialogo anche con l’interlocutore più distante non sul cosa ma sul come. Infatti si può discutere solo dopo esserci messi d’accordo su come scegliamo i dati che definiscono la realtà. Se non siamo d’accordo su questo diventa impossibile dialogare.

Condivido il mio metodo. Primo, distinguere i fatti dalle opinioni. Per i fatti deve esistere la prova documentaria. Per esempio, tra le notizie/siti/informazioni che esprimono opinioni mi fido solo di quelle che si basano su dati verificabili. Per sapere se questi dati siano veritieri o fake, basta vedere se sono citate le fonti che li hanno generati.

In genere chi è onesto lo fa sempre, mentre chi non lo è spara numeri, notizie e riferimenti che rimandano ad altri opinionisti e ad altri ancora in un gioco di scatole cinesi dove il dato su cui la presunta notizia si baserebbe non c’è o alla fine risulta falso. Quindi per essere certi che quanto riferito sia reale bisogna fare lo sforzo di andare a verificare che le fonti citate esistano davvero, ma soprattutto che riportino con chiarezza il metodo con cui i fatti sono stati misurati, descritti, trattati, consentendo a chiunque di verificarne la bontà ed eventualmente di poter riprodurre le stesse misure/osservazioni.

Per dirne una di attualità, le informazioni che si trovano sul sito del Ministero della Salute, o dell’Istituto Superiore di Sanità hanno tutte queste caratteristiche di trasparenza e attendibilità. Si chiama metodo scientifico, ben consolidato nella comunità scientifica. Ma è essenziale che questo approccio all’opinione diventi patrimonio comune, altrimenti il caos delle fake news, del tutti dicano la loro, del convincersi che il numero dei like corrisponda ad una misura di verità dilagherà oltre quanto è già drammaticamente accaduto. E’ lo sforzo che richiede la democratizzazione della conoscenza.

Nel mondo attuale, dove la maggior parte delle opinioni si formano nella rete, è necessario prendersi un po’ di tempo per fare un po’ di click in più rispetto a quelli che facciamo per berci con facilità le notizie più facilmente e superficialmente reperibili. Che in genere corrispondono a quelle che l’algoritmo di profilazione di noi utenti della rete realizza proponendoci in continuazione contenuti che ci piacciono e dunque che invece di stimolare il nostro spirito critico consolidano il nostro pregiudizio.

E’ a tal proposito che consiglio assolutamente il bellissimo docufilm The Social Dilemma che approfondisce, con straordinaria efficacia narrativa, i danni che i social media causano alla società. E se non vi basta, leggete la Proposta di Pace di Daisaku Ikeda del 2019 in cui il tema della bolla di filtraggio è trattato in modo approfondito. Si tratta di andare in verticale rispetto ad una notizia, ossia di entrarci dentro e verificarla, invece di muoversi in orizzontale saltando velocemente dall’una all’altra, sempre uguali, sempre confermative del nostro punto di vista.

Per esempio, ancora esiste una larga parte di opinione pubblica e certamente una larghissima parte delle élite politico-economico-militari che più o meno velatamente se ne infischia del cambiamento climatico.

Basta ancora una nevicata eccezionale qui o là perché varie testate anche nazionali (in genere della destra più becera) si prodighino nel minimizzare, usualmente con la deplorevole aggravante di cercare di ridicolizzare chi si è fatto bandiera di queste battaglie, come la giovane Greta Thunberg.

Oppure che usino il cambiamento climatico per realizzare scopi totalmente asincroni con il problema, come dimostra la recente battaglia di una lobby industriale ben definita per portare il nucleare tra le fonti energetiche green. Si si avete letto bene! Il nucleare è stato inserito dall’Unione Europea solo pochi giorni fa nella lista delle energie per il futuro e, come forse ricorderete, con l’endorsement del nostro ministro per la transizione ecologica.

Ok, questa è la mia opinione: penso che il cambiamento climatico non solo esista ma sia grave e che dobbiamo velocemente cambiare modello di sviluppo oltreché energetico per contrastare l’impatto che abbiamo sul clima e che in questo orizzonte di cambiamento non ci dovrebbe assolutamente essere l’energia nucleare, non tanto per questioni ideologiche ma perché il costo sociale, ambientale ed economico di questa risorsa, al netto del ciclo che va dall’estrazione dell’uranio alla discarica delle scorie, assolutamente alto, è in genere pagato da noi, mentre i profitti vanno tutti nelle tasche di chi detiene l’esercizio della centrale.

Sono ovviamente disposto a discuterne con chiunque abbia opinioni diverse, ma perché sia un dialogo vero che porti a soluzioni condivise (non necessariamente a quelle che ho in testa io, ammesso che ne abbia), la discussione deve partire dai dati, ossia dobbiamo metterci d’accordo in partenza almeno su ciò che descrive la realtà di cui parliamo. E badate bene, ho detto descrive la realtà, non è la realtà. Quindi è chiaro che quei dati di riferimento sono da considerare continuamente migliorabili e discutibili, ma devono essere acquisiti in modo scientifico, al meglio delle nostre capacità attuali.

Per continuare a sperare in un futuro migliore, per restare degli utopisti bisogna essere uniti. Unità non vuol dire avere le stesse opinioni, ma condividere uno scopo (nel buddismo questo concetto è espresso come itai-doshin che si traduce diversi corpi, stessa mente/cuore). Per esserlo dobbiamo fondare il dialogo intorno alle nostre diverse opinioni su terreno comune. Per questo dovremmo discutere del metodo con cui leggere la realtà prima ancora di rappresentare le nostre ragioni.

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