La Regina degli Scacchi, The Queen’s Gambit. Una serie televisiva Netflix. Non vi diremo quello che già altre recensioni hanno detto. È indubbio che la serie sia ipnotica a tal punto da scatenare una sorta di craving nello spettatore.

In fondo il tema della dipendenza è in primo piano. Dipendenza da sedativi, dipendenza da alcool, dipendenza dagli scacchi? Il mondo interiore, talvolta inquieto e sofferente, dei personaggi si intreccia con la realtà socio-culturale degli anni ‘60 e ci permette di osservare l’evoluzione dell’inquadramento di alcuni fenomeni che ancora oggi sono al centro di numerosi dibattiti.

Le dipendenze da sostanze, per esempio, cominciano ad avere un riconoscimento scientifico dal mondo della psichiatria solo a partire dagli anni ’80 quando il DSM-III, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, inserisce le categorie di abuso (presenza di uso patologico e menomazione nel funzionamento sociale o lavorativo) e dipendenza (presenza di tolleranza e astinenza). Si pensi che Freud aveva scritto un libro intitolato Über Coca (Sulla cocaina), con l’intento di curare la dipendenza da morfina, all’epoca molto diffusa tra i medici, proprio ricorrendo all’uso della cocaina di cui chiaramente non si conoscevano ancora gli effetti devastanti. Certo correva l’anno 1884.

Se da una parte il riconoscimento di un disturbo può favorire il diritto alla cura e alla presa in carico del soggetto sofferente, dall’altra rischia di attivare una distorsione e il conseguente stigma sociale come nel caso dell’omosessualità. Nella serie tv compare anche questo tema, seppure in modo volutamente nascosto forse proprio per evidenziare quella visione discriminatoria dell’epoca. E purtroppo qui non si può non ricordare che l’omosessualità è stata considerata malattia mentale sino agli anni ’80 quando è stata poi cancellata dall’elenco del DSM-III.

E mentre lo spettatore è concentrato a seguire le partite di scacchi, l’ideatore e regista Scott Frank, non dimentica mai di non lasciare dietro le quinte la drammaticità dell’esistenza umana dalle sfumature istrioniche, sino a quelle borderline e sino all’atto più estremo, il suicidio. Nevrosi e psicosi dunque in un continuo intricato intreccio con il genio, l’arte e l’amore. Ed è proprio la protagonista a farcelo notare: “Creatività e psicosi spesso sono compagne”.

Il film si conclude con una scena ambientata nel 1967.
In quell’anno lo psicoanalista francese Jacques Lacan ha pronunciato il discorso conosciuto come Allocuzione sulle psicosi infantili (in “Altri Scritti”, 2013, Einaudi):
“[…] la follia è la virtualità permanente di una faglia aperta nella sua essenza. Lungi dall’essere per la libertà un insulto, ne è la più fedele compagna, ne segue il movimento come un’ombra. E l’essere dell’uomo non solo non può essere compreso senza la follia, ma non sarebbe l’essere dell’uomo se non portasse in sé la follia come limite della sua libertà”. Lacan con questo discorso tentava di scardinare una concezione organicista e custodialista della malattia mentale dell’epoca cercando di mettere al centro la sofferenza soggettiva.

Il regista ci fa seguire la trama con la lente di quell’epoca, con non detti e sfumature di vissuti personali dei personaggi che restano chiusi e intrappolati nello stigma sociale

La serie ruota intorno all’unica cosa che sembra contare, Beth (la protagonista) e il gioco degli scacchi. Che però forse non è solo un gioco. Sullo sfondo scorrono in modo quasi discreto e silenzioso, per non distogliere l’attenzione dello spettatore, numerosi e raffinati riferimenti socio politico culturali dell’epoca. Il cattolicesimo, la guerra fredda, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti.

Ma poi quello che fa procedere la trama è l’unico vero motore della vita: il desiderio di Beth. Ma da dove arriva questo desiderio? È davvero il desiderio di Beth? In una scena finale del film qualcuno le chiederà: “Ma tu cosa vuoi?”

E così il desiderio si intreccia con la follia e gli scacchi diventano una metafora della complicata e complessa partita della vita tra la tragedia e la commedia.

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