Quale è il peso dell’anima? Alla letteratura piace immaginare siano 21 i grammi che danno un peso al nostro io, e la scrittrice Cecilia Lavatore decide di scindere la sua di anima in 21 racconti di donne che hanno cambiato il corso della loro vita.

Mia sorella è figlia unica per Red Star Press, uscito in libreria il 22 marzo, è anche esso un viaggio nel mondo femminile in cui l’autrice decide di calarsi in nostra compagnia. Troviamo la pallavolista italiana Paola Egonu e l’attrice Franca Rame, ma anche Luana D’Orazio, l’operaia morta a 22 anni in un orditoio di una fabbrica tessile di Prato, e poi anche donne della vita dell’autrice che, come piace dire a Cecilia Lavatore, hanno incarnato la resilienza a cui volgere uno sguardo ammirato.

L’oralità resta una esigenza, la volontà in qualche modo di farsi attraversare da racconti di personalità straordinarie del mondo femminile, di sentirle sotto la propria cute scuotere le vibranti parole che tagliano le nostre assopite sensazioni.

Distruggere ogni residuo di fascismo dolce costruito su castelli di carta di negazionismo e sessismo con le urla sussurrate di questi racconti, figli di un piccolo atto di rivoluzione culturale.

Jorit – Luana D’Orazio  ph: Csoa eXSnia

“Maggio non è un buon mese per morire, lo trovo abbastanza inopportuno, dovrebbe essere vietato dalla legge, si dovrebbe rimandare la faccenda a data da destinarsi. A maggio si nasce, non si muore.

Ci sono altri mesi per combinare cose del genere. Ad esempio, novembre, secondo me, è il mese più indicato, ma anche marzo: con gli ultimi strascichi d’inverno, di giardini soli, di rami nudi, di nebbia compressa, di rabbia fitta, di silenzi fermi e buio presto. Ma a maggio no.

A maggio si nasce, non si muore.

E invece, Luana D’Orazio, ventidue anni e cento quaranta battiti al minuto, è morta a maggio, il terzo giorno del mese dei fiori, col cielo terso a Montemurlo, masticata in provincia di Prato da un orditoio che l’ha inghiottita in 9 secondi: 18 respiri sempre più lenti.

Poi niente. Poi niente. Poi niente”.

Stralcio tratto dal libro di Cecilia Lavatore

La volontà di liberarci dalle catene invisibili che sono il retaggio univoco del nostro quotidiano, sentirsi per ritrovarsi. Abbracciare il timone quando il mare è in tempesta, non farsi spaventare dai flutti ma scrutare negli abissi e emozionarci di nuovo davanti al mare.

La band Le Pietre dei Giganti, prodotta da Overdub Recordings, suona per noi al funerale del manierismo dei giorni nostri, nel risveglio di una coscienza nuova che è quella che troviamo anche nei testi di Cecilia Lavatore.

“Veniamo da mari diversi, ma sono i mostri invisibili che ne popolano il fondale a decidere l’esito del nostro navigare.” Le Pietre dei Giganti

Siamo sul margine definito dei nostri pensieri e abbiamo paura del vuoto che hanno scavato nelle nostre coscienze collettive, ma anche nel nostro ultimo giorno di terrore e paura saranno le parole a salvarci.

Le parole di un’autrice o quelle di un gruppo musicale, che non si conoscono e non si sono mai visti eppure hanno raccontato che non ci siamo ancora arresi; che siamo ancora vivi, vigili. Non ci arrenderemo al sonno e all’oblio, non lo faremo per perderci ancora nei versi fuori dal confine e riscoprirci umani.

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