È incredibile come il mondo possa rovesciarsi da un momento all’altro. Un giorno sei guida dell’Istituto geografico militare di Firenze, il giorno dopo, abbandonato dal tuo ordine di appartenenza, uno dei peggiori nemici del buon nome del Ministero della Difesa della Repubblica italiana. E per cosa? Solo per aver scritto un libro…

Spopola in Italia il caso Vannacci e il suo Il mondo al contrario è uno dei libri più acquistati dal popolo italiano, famoso per non essere proprio uno dei maggiori lettori. Che dire? Roberto Vannacci viene abbandonato da tutti: l’esercito lo rimuove, lo Stato si indigna, tutti prendono le distanze; quel mondo che lui difende, quei valori che lui tenta di proteggere e mantenere al sicuro sembrano completamente capovolgersi contro di lui.

Eppure, credo che lui abbia semplicemente esplicitato il pensiero dei molti, un pensiero che pare evidente essere da guida anche al nostro governo che si sta operando nel conservatorismo più assoluto. Roberto Vannacci è stato ed è vittima proprio del sistema che egli non solo difende, ma osanna: quella forma di potere esclusivo e patriarcale per cui “certe cose è bene farle, pensarle, ma non dirle”.

Quella forma per cui le minoranze devono stare zitte perché se reclamano un qualche diritto ecco che si aprono le porte alla dittatura di chi non conta nulla. Ecco allora che è giusto che le donne – evidentemente e per natura soggetti inferiori – si guardino bene dal prendere una posizione, dal dire delle cose; è fondamentale che i froci si facciano anche inculare ma che – per cortesia – lo facciano nelle segrete delle loro casa; è accettabile avere un figlio disabile, alla fine se nato da una famiglia naturale di madre e padre con ferrei valori cristiani mica lo possiamo uccidere, ma, attenzione, non mettiamolo in mostra, che il segreto sia ben custodito. Ed è giusto che l’uomo – perché è uomo vero, testosteronico, predatore – prenda più donne nello stesso tempo, basta che poi torni dalla moglie: perché, si sa, la famiglia viene prima di tutto.

Che bel quadretto di un mondo che va orizzontale, longilineo, in cui tutto è prestabilito: controllato, controllabile. In cui c’è chi sta sotto e sta sopra, in cui le etnie (perché per colpa di questi folli queer – e va a capire bene chi sono questi? – non si può più dire razza) sanno già elencare doti, virtù e limiti di un essere umano.

Raddrizziamo questi ragazzi! Nutriamoli con della buona carne e poi spieghiamogli che il mondo è loro con tutto quello che in esso esiste, donne comprese. E, attenzione, chiariamo alle bambine che il loro scopo nella vita è quello di trovare un buon marito che cornificandole e umiliandole provvederà a loro per sempre: perché questo è l’amore.

Il principe azzurro arriva per tutte, basta essere cortesi, remissive e ben disposte a compiacere sempre il maschio di casa, non importa se sia padre o marito. Ecco il mondo che torna finalmente ad essere dritto, liscio! Pericoloso è quel mondo poroso fatto di colori e diversità: meglio un mondo in bianco e nero dove o sei dentro o sei fuori!  

Questi discorsi li può fare solo una persona che sta ben dentro a quel mondo orizzontale; una persona che, proprio per seguire un’espressione cara all’ex capo dei paracadutisti della folgore, per natura – perché nato in un contesto di privilegio – non si è mai dovuto trovare con le spalle scoperte, colui che ha sempre avuto non per merito, ma per diritto di nascita un posto comodo nella società umana.

Tali farneticazioni come sono state definite dal nostro ministro della difesa, Guido Crosetto, (che forse nell’intimità non le definirebbe proprio in questa maniera, chi lo sa?) non sono tali per colui che non si è mai dovuto scontrare con la diversità. Che non l’ha vissuta su sé stesso (escludiamo infatti la possibilità che il buon Vannacci, per avercela così tanto con femministe e omosessuali, possa voler essere donna o voler copiosamente baciare un membro del suo esercito).

Mi sono sempre chiesta come possa essere rassicurante sentirsi dentro. Appartenere a qualcosa, non essere sempre quel corpo fuori luogo. Probabilmente il nostro generale, da bimbo, non era uno degli ultimi ad essere scelto quando il bambino eletto doveva “farsi la sua squadra” per giocare a palla. Probabilmente nessuno lo ha mai escluso perché troppo basso, troppo grasso, troppo brutto. Il principio della performatività non lo ha rincorso, ma lo ha sempre accompagnato.

Non sa quanto bruci e possa far male non essere tenuti in considerazione perché diversi. Solo pacche sulla spalla per Roberto Vannacci e donne che cadevano ai suoi piedi e parole gentili e porte aperte. Quanto deve essere bello, sinceramente provo invidia! Io che da bambina con la palla non ci sapevo giocare poi così bene, che ero una donna ma volevo fare calcio, che ero una bambina ma odiavo le Barbie e volevo solo Ken.

Io che non venivo mai scelta e me ne restavo a guardare gli altri accarezzati da quel vento benefico che per natura li aveva eletti alla normalità. Io che mi innamoravo della mia compagna di banco che regolarmente si innamorava del Vannacci di turno, io che non potevo camminare come gli altri, che non potevo amare come gli altri, che dovevo fare la femmina e che non la sapevo fare.

In realtà non volevo essere così diversa, in realtà volevo essere Vannacci. Volevo recitare quella sua parte nel mondo e nella via. Volevo un mondo dritto anche io.

Ma è davvero dritto
il mondo di Roberto Vannacci?

E mi chiedo: se fossi nata nel corpo di Roberto Vannacci sarei stata come lui? La penserei come lui? Non so sinceramente. So che invidio le possibilità che non ho mai avuto, so che c’è un senso di calore e di appartenenza che non proverò mai.

Ho provato altre cose: l’esclusione, il vezzeggiamento, la vergogna, la solitudine, il senso di inadeguatezza. Ma poi, un giorno, grazie a quella parte di mondo che lui definisce “al contrario” non mi sono più sentita sola. Ho smesso di sentirmi così sbagliata.

Grazie a mani di una donna normale ho smesso di sentire il mio corpo brutto e sbagliato. Grazie allo sguardo del suo amore ho smesso di sentirmi solo una storpia. Grazie alle parole di donne forti e sagge mi sono sentita in diritto di avere una voce.

Grazie a persone che sono scese in piazza anche per me ho iniziato a poter tenere per mano chi amavo. Grazie a esseri umani che hanno tenuto in considerazione il mio pensiero, persone normali, ho potuto risplendere anche io nella mia peculiarità.

E questa non è una dittatura, non è un mondo al contrario, ma solo dare la possibilità di esistere anche a forme non convenzionali perché, anche se Roberto Vannacci non lo sa ancora, la normalità non esiste.

Ecco allora che non siederò mai come patriarca a capo tavola in un mondo dritto, non guiderò il mio Mercedes con moglie accanto e figlio maschio e femmina dietro ed un cane che serve da status symbol, non avrò un’amante che vedrò nei pomeriggi donandole quel tempo risicato per poi tornare ad essere un buon padre di famiglia.

Non fomenterò l’odio nei confronti di chi ha avuto meno fortuna di me ed è nato in una nazione in cui imperversano miseria e guerre; non normalizzerò la mia vita dando cena di gala, organizzando feste per il Capodanno o vigilie di Natale, ma proverò a vivere quel che resta di questa vita con autenticità.

E l’unica onestà intellettuale di cui ha davvero bisogno il nostro tempo non è il ritorno al passato, ma una mozione verso il futuro e questa parola è potente ed è pronunciabile solo se si vede l’essenza corallica della vita e la porosità intrinseca del suo sistema.

Un rimedio contro il pericolo Vannacci

Tuttavia, è stato un testo in particolare ad aver aperto la mia mente a me stessa, sì, perché a volte siamo noi stessi i primi ad essere escludenti con ciò che davvero siamo, ad esercitare giudizi talmente pesanti da far abitare dentro di noi un Vannacci. Questo libro lo lessi qualche anno fa e, ricordo, era la prima volta che incontravo la parola queer: non sapevo neppure cosa significasse.

Il libro in questione, che può essere uno degli antidoti a questa mentalità escludente e parziale che non sa cogliere la realtà nelle sue sfaccettature e complessità, è il testo di Lorenzo Bernini Le teorie queer. Un’introduzione.

In questo libro vengono approfondite una serie di importanti tematiche relative alle differenze di genere, alla modalità di percepire se stessi e di come siano state fondamentali le lotte di questi contrari, invertiti non solo per dare voce a chi altrimenti rischiava di restare schiacciato dalla maggioranza, ma per rendere il mondo più ricco di colore. Prendere posizione è un atto dovuto, non una volontà di dominio bensì una richiesta là dove nessuno dovrebbe chiedere il permesso di esistere come è.

Credo che anche il povero Roberto Vannacci sia costretto a vederla la diversità ora che, abbandonato dal suo plotone, si trova solo, isolato, vezzeggiato, rinnegato, forse per la prima volta. E cosa farà adesso? Quale mondo è questo mondo al contrario ora che nessuno vuole più giocare con lui? Da chi andrà? Provo tenerezza per lui: schiacciato dalla sua stessa superbia e cecità. Ora è lui che deve capovolgere il suo mondo. Buona fortuna!

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