Ma quanto è bella la serie italiana di Call My Agent? Mi ci ero avvicinata con scetticismo, tanto avevo amato l’originale francese (Dix pour cent, dalla percentuale che i protagonisti dell’agenzia per attori al centro dell’azione trattengono sui contratti): mi sono dovuta ricredere.

Certo, per chi conosce la versione ambientata a Parigi – andata in onda a partire dal 2015 su France2 per 4 stagioni, l’ultima più stanca – più che un’ispirazione quella realizzata da Palomar per Sky è un vero e proprio remake.

Sempre un’agenzia per attori, ma stavolta a Roma (Piazza del Popolo, mica cavoli), invece che nella capitale francese. Quattro agenti che cercano di tenere a galla la prestigiosa baracca dal nome breve (CMA invece che ASK) dopo che il socio di maggioranza scompare (nella versione francese muore, in quella italiana, più furbo, si trasferisce in riva all’oceano).

Uguali le caratterizzazioni: c’è l’anziana Elvira (Arlette) col suo cagnetto Marcello (JeanGabin), l’irruente bella Lea (Andréa; per fortuna come in francese anche l’italiana è lesbica), il tenero Gabriele (Gabriel) e lo spregiudicato Vittorio (Mathias), con i loro tre assistenti e la segretaria, poi attrice, Sofia (la cantante Paola Kaze Formisano, nera come la francese Stèfi Celma). Attorno alla sopravvivenza dell’agenzia girano le storie delle star protagoniste, impegnate in un gioco di bravura e di autoironia in un fuoco di fila di trovate.

Nelle quattro stagioni francesi sono sfilati tutti i grandi attori d’oltralpe ma proprio tutti (ahinoi, Netflix l’ha tolta dal catalogo). In queste sei puntate italiane, tutte dirette da Luca Ribuoli, gli sceneggiatori Lisa Nur Sultan e Federico Baccomo hanno scelto fior da fiore delle idee originali pescandole lungo le puntate francesi ma adattandole intelligentemente alle abitudini e ai riferimenti italiani.

Così Paola Cortellesi si trova a scoprire di essere troppo vecchia per una maxiproduzione hollywoodiana (succedeva a Cécile De France); un sublime (tanto per cambiare) Pierfrancesco Favino non riesce a uscire dal personaggio dell’ultimo film e si aggira in giardino come nella giungla parlando uno spagnolo maccheronico (accompagnato dalla moglie Anna Ferzetti e dalle figlie Greta e Lea Favino nel ruolo di loro stesse); Stefano Accorsi, come Isabelle Huppert nell’originale, è bulimico di lavoro e affastella i set in barba ai contratti (ma finisce passando una notte a registrare un audiolibro: Anna Karenina, sotto le stelle).

Più originali sono invece le storie di Paolo Sorrentino (maestro di autoironia e megalomania), Matilde De Angelis travolta da una shitstorm sui social per una battuta inopportuna; e Corrado Guzzanti, che preferirebbe non lavorare piuttosto che trovarsi in una produzione strampalata gestita da una collega improbabile che ha sfondato per un gioco della sorte: è la bravissima Emanuela Fanelli.

E però, a bucare lo schermo sono soprattutto gli straordinari attori meno noti – impegnati a rappresentare tutto il piccolo mondo privato degli agenti che si trasmutano in segugi, babysitter, psicoanalisti, autisti, giocolieri di schedule e imbonitori di contratti.

Vittorio è Michele De Mauro (un po’ meno laido dell’originale Mathieu), Lea è Sara Drago, incisiva sebbene abbia l’ingrato compito di far scordare la francese Camille Cottin; Gabriele è Maurizio Lastrico, Elvira è una fantastica Marzia Ubaldi (grande attrice teatrale e doppiatrice, qui si autoricicla in splendida versione di romana doc); e fra gli assistenti, la giovane Camilla (figlia illegittima concepita da Vittorio in un festival di Venezia invece che a Cannes) è Paola Buratto, Monica Ferri è Sara Lazzaro, il gentile Pierpaolo è Francesco Russo.

Soprattutto per loro la prova era ardua perché i volti e i caratteri degli originali (la timida ma determinata Camille di Fanny Sydney, il tenero gay di Nicolas Maury, la spettacolare Noémie di Laure Calamy) sono indimenticabili; ma in capo alla prima puntata ci siamo già affezionati a queste nuove versioni.

Insomma, Call my Agent Italia (ma perché in inglese?) è qualcosa di più che gradevole e sebbene breve, l’ultima puntata lascia aperta la porta alla seconda stagione. Naturalmente sappiamo già tutto quello che succederà; ma questo non scoraggerà gli spettatori, anzi, si innesta l’effetto ‘vediamo come hanno riprodotto questo twist’.

Però – come in un celebre caso passato, Bienvenue chez les ch’tis diventato in Italia Benvenuti al sudbisogna ammirare la potenza della verve comica della cultura francese, fin dai tempi di Molière connubio di franche risate e raffinata satira agrodolce.

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