Il monologo di Michela Andreozzi, tratto dal suo Non chiedetemelo più, in Love Match, in scena ancora per due giorni al Teatro Golden di Roma, mi ha conquistata, almeno quanto (spoilero?) l’entrata in scena del loro cane (loro sarebbero Michela Andreozzi e Max Vado, suo marito, i protagonisti dei 90 minuti di spettacolo): ho quarant’anni e spicci e non ho figli, dice Andreozzi al tassista Vado; non li ha e non ne vuole, è una childfree (che è diverso da childless, priva di figli), dovuto a un mix tra scelta e casualità. Un monologo in risposta alla battuta del conducente, una boutade tanto per, ma che si traduce in una risposta-fiume che, mentre ci fa ridere, ci dice tanto: dei rapporti uomo-donna, dei cliché, dei pregiudizi, degli stereotipi, dei luoghi comuni, degli stigma (di cui si occupa per esempio Lunàdigas).

E’ solo una delle vignette eccezionali della pièce che indagano le relazioni di coppia: matrimonio, tradimento, relazioni clandestine, primi approcci, sesso, amicizia, genitorialità, convivenza, etc. Impossibile non pensare che parte del calore, del romanticismo, della comicità che trabocca in scena non arrivi da qualcosa in più oltre al mestiere di due attori di spessore, ma provenga da esperienza diretta. Già, perchè – bella lei bello lui – i due stanno insieme per davvero, nell’arte e in casa, e di ménage, cavolo se ne sanno.

Come sempre quando di mezzo ci sono loro due, però, oltre all’intrattenimento puro, in Love March spunta sempre quell’algoritmo poetico che conferisce alla sceneggiatura qualcosa di profondo che, soprattutto nel finale, ci muove alla commozione (per farvi toccare con mano di cosa sto parlando, guardate questo loro corto, girato in casa durante la pandemia, da cui in pochi minuti emerge la dimostrazione di quanto dico con chiarezza).

Bellissima la scenografia di Love Match, con i quadri di Mauro Di Silvestre, valorizzati dalle musiche di Alessandro Di Pofi, e dieci e lode a Andreozzi per le interpretazioni canore. Prodotto da Atpr & Vincenzo Sinopoli, siamo davanti a uno spettacolo vivace, romantico, con un ritmo perfetto e qualche provocazione utile a farsele, due domandine: riconosco l’altrə? E i suoi limiti? Li accetto? Sono felice? L’altrə è felice? Lə sto ascoltando? Mi ascolta? E’ amore, il mio? Mi sento amatə?

I due artisti interpretano le molteplici sfaccettature di una stessa umanità che si attrae, si respinge, discute, si abbraccia, si ama: “L’amore? E’ la forma più alta di amicizia. O forse è il contrario? E’ una poesia, una canzone, è un tango. E’ innamorarsi dei difetti. E’ detestare le virtù. E’ la coppia prima della famiglia. E’ affezionarsi all’abitudine. E’ abbandonare le abitudini. E’ passione, feticismo, perversione. Una ubriacatura. E’ gelosia. E’ la cura“, dicono autore e autrice.

Infine, fa bene quel pizzico di attivismo sui temi della contemporaneità: alcolismo, catcalling, salute mentale, solitudine. Standing ovation.

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