Ancora una volta le donne!! E purtroppo non in senso positivo.

È stata pubblicata la Mappa dell’intolleranza, realizzata da Vox – Osservatorio italiano sui diritti, da cui risulta che, per il settimo anno consecutivo, sono le donne il gruppo sociale maggiormente colpito dall’odio sui social network.

Il report viene realizzato attraverso un enorme analisi di dati e con la collaborazione tra quattro atenei italiani (Dipartimento di Diritto pubblico, italiano e sovranazionale dell’Università di Milano; Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica dell’Università La Sapienza di Roma; Dipartimento d’Informatica dell’Università Aldo Moro di Bari; Centro Itstime dell’Università Cattolica di Milano) che raccolgono, scremano e mappano i tweet prodotti in un dato lasso di tempo.

Mappa dell’intolleranza: i risultati

Da gennaio a ottobre 2022, sono stati estratti 629.151 tweet, con parole considerate sensibili, dei quali 583.067 negativi (il 93% circa vs. 7% positivi), nel 2021 invece sono stati estratti 797.326 tweet dei quali 550.277 negativi (il 69% circa vs. 31% positivi).

Ciò che emerge subito è la forte polarizzazione e radicalizzazione dei discorsi con contenuto violento, il cosiddetto hate speech: quelli offensivi rappresentano il 93% del totale. Inoltre, emerge il ruolo di alcuni mass media tradizionali nell’orientare vere e proprie esplosioni epidemiche di intolleranza.

Sono sei i gruppi che vengono presi in esame dalla Mappa dell’intolleranza: donne, persone omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani, individuati nelle communities online ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono e per l’interattività che garantiscono.

Osservando i dati nel dettaglio, odio e linguaggio negativo vengono indirizzati sui social a donne (43,21%), seguite dalle persone con disabilità (33,95%), poi persone omosessuali (8,78%), migranti (7,33%), ebrei (6,58%) e islamici (0,15%).

L’anno precendente i dati erano diversi: se le donne detenevano ancora il primato con il 43,70%, al secondo posto risultavano gli islamici (19,57%), poi le persone con disabilità (16,43%), gli ebrei (7,60%), le persone omosessuali (7,09%) e infine i migranti (5,61%).

La Mappa dell’intolleranza
sul territorio italiano

Le maggiori concentrazioni di discorsi d’odio e discriminatori si sono registrate secondo questa distribuzione:
Antisemitismo: Nord Italia e nel Lazio.
Islamofobia: Piemonte, Nord Est ed Emilia.
Misoginia: Centro Nord, Centro e Centro Sud. In particolare, Bologna, Terni, Roma, Caserta.
Omofobia: Tutto il Nord e soprattutto nel veronese, Calabria.
Xenofobia: Nord Est e alto Lazio, con forte concentrazione a Roma. Puglia. Disabilità: Nord Ovest, Emilia e Toscana.

Dal potere nasce l’odio

Troia, puttana, sfigata, zoccola, mignotta e scrofa: queste le parole offensive più ricorrenti nei tweet d’odio verso le donne, termini che oltre all’offesa in sé raccontano di una cultura ancora profondamente misogina e intrisa di patriarcato che soppesa il comportamento relazionale/sessuale femminile.

Le destinatarie di questi messaggi sono soprattutto donne che esercitano il potere, politico o economico. Il denominatore comune che scatena l’odio misogino online è infatti proprio il potere: la stessa azione che scatena l’aggressione online nei confronti di una donna, non provoca la stessa reazione se agita da un uomo.

Il tema non è ciò che quella donna ha detto o fatto, magari anche deprecabile, ma la reazione collegata che evidenzia il persistere di una lettura sociale gravemente sessista. Un odio che si scatena anche a commento di femminicidi e aggressioni a donne. Bologna, Roma, Terni e Caserta le zone dove maggiormente si concentrano gli attacchi misogini, mentre l’omofobia, ad esempio, è maggiormente radicata nel veronese.

Un ulteriore aspetto riguarda la disumanizzazione del confronto: in presenza, a voce, si dialoga, si cerca una mediazione verbale per non ferire/rompere con l’interlocutore; sui social invece non ci sono filtri, si scatenano rabbia e frustrazioni normalmente represse. Attraverso i social i profili, veri o falsi, esprimono opinioni ed estremizzano posizioni alimentando pregiudizi e convinzioni, esasperandoli e, in qualche modo, legittimandoli.

Dal letame può nascere un fiore

Emerge sempre di più la necessità di educare all’uso dei social network e di ripensare le relazioni fra media, piattaforme social e utenti, al fine di prevenire forme sempre più radicali di odio, che possono superare i confini della dimensione online e tradursi in atti concreti come i femminicidi o i sempre più frequenti attacchi di bullismo.

Come, ad esempio, la campagna istituzionale dell’Agcom Lascia l’odio senza parole, nata per sensibilizzare cittadini ed utenti sul fenomeno dei discorsi d’odio in rete. Iniziativa che si inserisce nell’ambito del progetto di ricerca europeo Innovative Monitoring Systems and Prevention Policies of Online Hate Speech – IMSyPP.

Obiettivo del progetto è quello di sviluppare sistemi multilingua per il monitoraggio del linguaggio d’odio in rete, al fine di identificare i fattori determinanti del fenomeno, le raccomandazioni più efficaci sul piano delle narrazioni e le più opportune proposte di policy in un’ottica europea.

Lo spot dedicato alla campagna, trasmesso sulle reti Rai e sui canali istituzionali dell’Autorità, ha l’obiettivo di sensibilizzare su come le espressioni d’odio si pongano in contrasto con i principi fondamentali di tutela della persona e del rispetto della dignità umana, oltre che del principio di non discriminazione.

L’odio non è mai neutro, ma con la cultura e le parole si può vincere.

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