Pasolini è stato crocifisso ma non è ancora risorto. “Il Libro Bianco delle Sentenze stilato contro di me dalla Magistratura Italiana sarà il libro più comico. Per me è stata una tragedia: ma non temete. Fingo che le mie spalle siano fragili: in realtà sono più forti di quelle di Simone. Ma fatemi fare il bravo cittadino per qualche mese se no, non potrò fare più il cattivo cittadino per tutta la vita”.

In questa poesia del 1968 (rifiutata dagli editori) Pier Paolo Pasolini con amara ironia e devastante dolore accusa quell’Italietta piccolo borghese, fascista, democristiana e provinciale che non lo ama come poeta, anzi, lo tratta da criminale arrestandolo, perseguitandolo, tormentandolo.

“Linciato per quasi due decenni – come scriveva in una lettera aperta a Italo Calvino pubblicata su Paese Sera nel 1974 – può darsi che io abbia avuto quel minimo di dignità che mi ha permesso di nascondere l’angoscia di chi per anni si attendeva ogni giorno l’arrivo di una citazione del tribunale e aveva terrore di guardare nelle edicole per non leggere nei giornali atroci notizie scandalose sulla sua persona. Ma se tutto questo posso dimenticarlo io, non devi però dimenticarlo tu”.

Non possiamo dimenticarlo noi, nel centenario che celebra la nascita di uno degli ultimi poeti del ‘900 e dobbiamo ringraziare Francesco Aliberti, Alessandro Di Nuzzo e Enzo Lavagnini per aver raccolto in un volume tutti i trentatré processi, le centinaia di udienze, le tre condanne in primo grado, le due assoluzioni e le amnistie ne Il libro Bianco di Pasolini pubblicato da Compagnia Editoriale Aliberti).

“Pasolini è la somma di tutti i vizi, incarna il sogno di chi vorrebbe il Male con una sola testa per decapitarlo in un colpo solo”

scriveva Stefano Rodotà nell’analisi della cronaca giudiziaria, curata da Laura Betti, delle persecuzioni che ha portato il poeta fino alla morte. 

Pierpaolo Pasolini è stato perseguito per tre decenni, già da giovane insegnante per la sua militanza politica e poi da artista, poeta, intellettuale con le denunce, le censure e il sequestro delle sue opere.

E i processi non si sono fermati neanche con la morte. Pasolini rimane per la Giustizia, o meglio per l’ingiustizia italiana, un caso giudiziario senza epilogo.

Grottesche sono alcune sentenze, come nel processo al film La ricotta, in cui il giudice dichiara che Pasolini aveva offeso la Passione di Cristo “dileggiandone la figura e i valori con commento musicale, mimica, dialogo e altre manifestazioni sonore, nonché tenendo per vili simboli e persone della religione cattolica”.

Quattro mesi di reclusione con condizionale in primo grado e salvato da amnistia dopo la condanna della Cassazione.  Fra le altre condanne, quella di oscenità e l’utilizzo del romanesco volgare in Ragazzi di vita.

Leggendo le carte del Libro Bianco di Pasolini ci si rende conto che ogni processo costruisce un pezzettino del puzzle di una condanna a morte. Conoscere il dolore e l’oltraggio che ha subito Pasolini e recuperare uno sprazzo di vera dignità e verità, un vero atto di dolore, per quel poeta perso, per quel poeta violato, per quel poeta infangato, per quel poeta rubato alla vita ed oggi abusato dalla politica.

Il 2 novembre 1975 Pasolini viene ammazzato all’Idroscalo di Ostia, non si può celebrare la nascita senza affrontarne la morte. Cinquant’anni di silenzio politico con qualche debole tentativo di risarcimento intellettuale per lo più utile agli altri intellettuali per citare Pier Paolo Pasolini.

La morte di Pasolini liberò dagli imbarazzi la politica di sinistra, liberò quella di destra, liberò la Chiesa. Ma la primavera non si può fermare, i versi, le battaglie e lo sguardo del corsaro oggi vivono più che mai e l’omossessuale ammazzato finalmente è il poeta rubato all’Italia. Ma questo non basta, c’è ancora bisogno di verità, di ricucirgli la giacca strappata, curare ogni ferita, quelle profonde e quelle leggere.

E il suo sangue non ha mai smesso di zampillare, più rosso che mai grazie alla sua grande lezione civile. Al di là del Vangelo c’è la sua croce con il suo sacrificio. 

Franco Citti sosteneva con fermezza che ad ammazzarlo fossero stati i servizi segreti legati agli ambienti fascisti in nome di Eugenio Cefis ovvero il  Troya di  Petrolio. La scatola nera del nostro Stato. Sì, è stato lo Stato!

L’omicidio di Pasolini merita una nuova Commissione d’inchiesta, ma fino a quando ci saranno nel Governo ancora strascichi di quei servizi deviati, fascisti e massoni, quegli stessi politici che probabilmente ne hanno ordinato l’esecuzione, sarà difficile che questo avvenga.  

Il Libro Bianco di Pasolini si apre con una intervista a Furio Colombo che alla domanda del perché Pasolini sia diventato così mainstream risponde:

“Pasolini ha unito impersonato diverse cause straordinarie. Per esempio, il rapporto della letteratura con le classi popolari. Se si prende il libro di Luciano Canfora, La democrazia dei signori, si trova una sorta di lessico pasoliniano – voi parlate, discutete, avanzate in un vostro territorio di sapienza e conoscenza e intanto il popolo rimane alle spalle, indietro, isolato – si era accorto per primo di quello che sarebbe stato il danno pauroso del partito comunista: quello di perdere il popolo”.

Colombo ci ricorda a fine intervista che “il caso Pasolini non è risolto” : per questo nel centenario della nascita dobbiamo ricordare il giorno della sua morte. Le sue ceneri sono mescolate a quelle di Gramsci.

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