I mesi del Covid hanno portato con sé, oltre che un evidente blocco per ogni comparto dello spettacolo, anche la possibilità di una riflessione approfondita e ricca di proposte, in vista di una eventuale riscrittura di una legge che porti con sé una maggior tutela dei lavoratori del palcoscenico, del microfono, del set. Ne parliamo con Massimiliano Vado, attore, regista, autore, che del tema si è occupato attivamente.

Massimiliano, quali sono state a tuo parere le maggiori falle di sistema messe in evidenza dal lockdown? Prima tra tutte la totale mancanza di tutele per tutto il comparto in cui lavoro, È una cosa che sapevamo e che ci imponeva una precarietà funzionale a cui, forse, eravamo anche abituati. Ma scoprirlo in maniera così violenta è stato utile, quanto traumatico. Sono venute fuori le disparità di censo e di finanziamenti; si è scoperto chi – comunque – si era già messo in salvo e chi sta ancora affondando. Che ci sia chi ancora crede che con l’Arte non si mangi, così come diceva quel genio mancato di Tremonti, è una grande offesa per l’intelligenza.

Quali ritieni che siano state le proposte più costruttive emerse e le forme di sostegno che hanno funzionato meglio? Innegabilmente i fondi emergenza Covid dell’Inps sono stati una boccata di ossigeno, così come l’enorme stanziamento per i soci del Nuovo Imaie. Capisco poco, per i primi, l’abbassamento delle giornate lavorative e non, ad esempio, la media dello storico degli ultimi cinque anni, ma comprendo la fretta dell’emergenza. Sono da poco arrivati i fondi per i teatri, ma noto con rammarico che accederanno anche compagnie e soggetti a carattere amatoriale: una sconfitta per chi al nostro lavoro crede seriamente; mentre tutti attendiamo con ansia i fondi emessi dalla Siae. Al momento l’unica forma di seria programmazione e tutela emersa è quella del Registro delle Attrici e degli Attori italiani, creato proprio per formalizzare e legalizzare una professione troppo spesso considerata un hobby. Presumo sia il primo passo necessario per contrastare l’immagine di pochezza che certe forme di presenzialismo ed esibizionismo hanno contribuito a creare intorno al nostro mestiere. Una unità di categoria che non si era mai vista prima, per costruire – anche grazie al contributo mio e del gruppo di lavoro in cui mi sono inserito – un tassello iniziale fondamentale. Nessun contrasto, molte trattative e, soprattutto, molto studio: per giungere ai parametri per la definizione si è dovuti passare per dati enpals e inps, calcoli non sempre così scontati e esperienze personali. Il risultato finale, che al momento è una proposta di legge, a firma degli Onorevoli, Madia, Serracchiani, Nardelli, è un compendio ottimo e riassuntivo, ma esiste chi ancora – inspiegabilmente o fin troppo spiegabilmente – rema contro.

A tuo parere le ipotesi emerse vanno a beneficio dei soliti noti o abbracciano – se non tutti – almeno una fetta significativa della popolazione dello spettacolo….chi sono i piccoli o  grandi delusi dalla proposta? Le tesi del Registro – e quindi della creazione di Registri di tutela per tutte le categorie artistiche – vanno a beneficio solo di chi da questo lavoro percepisce almeno il 51% dei suoi profitti, contribuendo a creare più opportunità di lavoro, limitando di molto la piaga del lavoro nero, ancora molto presente, purtroppo. Non possono esserci delusi se la situazione di arrivo prevederà Compagnie “certificate” che ricevono Fondi “certificati” se fanno lavorare Artisti “certificati”. Succede ovunque, tranne che per l’arte dove chiunque crede di poter accedere, senza aver studiato. 

Sempre dal tuo punto di vista… quali sono le ragioni per cui l’arte non è mai vista come una pratica degna di retribuzione, cioè come un lavoro in Italia? Ci sono stati modelli di altri paesi a sostenere la discussione? Non credo che, come afferma qualcuno, il continuo neorealismo, possa essere una causa scatenante; di certo ne è una componente, soltanto perché, più per snobberia che per arte, a volte accedono alla professione dei soggetti senza alcuna formazione. Fortuna vuole che con altrettanta frequenza le loro carriere, senza l’istruzione fondamentale, siano brevi. In Inghilterra non si può fare teatro senza aver frequentato una scuola: lo trovo corretto, oltre che scontato. Spero che anche da noi, in Italia, si arrivi presto ad una formalizzazione legale di quella che, anche se non sembra, è una professione che prevede studio e formazione continui.

Le lamentele degli artisti sul loro essere dimenticati ti sono apparse valide? Come giudichi gli stessi artisti che hanno attaccato i loro colleghi accusandoli di lagne e infantilismo? Sono valide nel momento in cui Confindustria o le Associazioni di Editori possono ricattare il governo, mentre il comparto dell’arte può solo rimarcare quanto questa sia stata indispensabile alla sopravvivenza durante la quarantena. Per abitudine non giudico mai artisti e colleghi, la situazione era ed è disperata, e ciascuno tenta quello che può. Dico soltanto che un Artista ha armi infinitamente più potenti della lamentela o del litigio, o peggio ancora della protesta o delle manifestazioni di piazza. Bisogna solo saperle usare.

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