Amo il mio lavoro, amo il mio lavoro, amo il mio lavoro. Per chi non fosse avvezzo alla commedia americana dei primi anni Duemila, la citazione è tratta dal film Il diavolo veste Prada, reso iconico dall’interpretazione di Meryl Streep nei panni della dispotica Miranda Priestly. 

Nella particolare scena la prima assistente Emily, il cui volto appartiene all’allora poco conosciuta e omonima Emily Blunt, si trova alla sua scrivania, stremata da una lunga giornata di lavoro di cui non vede la fine, tenacemente ancorata all’idea che quel particolare impiego sarà in grado di lanciare la sua carriera nel mondo della moda, e che quindi possa valere tutti i sacrifici che le vengono richiesti. 

Il diavolo veste Prada non è certo quella che si può definire un’opera impegnata o di denuncia sociale: brillante, ironico e soprattutto molto, molto leggero, nasconde però sotto la patina frizzante una dichiarazione di amore misto ad odio verso la sopravvalutazione della cultura del lavoro d’oltreoceano, fondata su fatica e impegno da viversi spesso e volentieri come totalizzanti, a mio parere molto più spinta sul grande schermo che nel fortunato best seller dell’americana Lauren Weisberger da cui è tratto, edito in Italia da Piemme

Vista la pervasività con cui il lavoro si appropria di ampi spazi della vita privata, non credo sia un caso che fenomeni come la great resignation o il quite quitting partano proprio dagli Stati Uniti, o che sempre nello stesso territorio nascano aziende come Gallup, che nel loro core business includono l’ambizione di misurare lo stato globale del lavoro, con report annuali molto dettagliati. Proprio l’azienda globale di analisi e consulenza Gallup ha pubblicato lo scorso giugno l’annuale State of the Global Workplace Report 2022, il report sullo stato del lavoro a livello mondiale.

Il lavoro dipendente in Europa

Un documento molto dettagliato quello di Gallup, che in 170 pagine confronta le varie aree del globo con domande legate alla soddisfazione dei dipendenti, in rapporto a temi ben specifici. Andando a curiosare tra i dati relativi all’area dell’Unione Europea, che quindi coinvolgono anche l’Italia, emerge come per esempio i cittadini sentano di appartenere a sistemi con alta presenza di corruzione (60% del campione, in calo di un punto dall’anno precedente), non si sentano soddisfatti di quanto istituzioni e aziende stiano mettendo in campo a favore della tutela ambientale (solo il 44% del campione ha un parere positivo sul tema), o di come solo il 42% sia soddisfatto del proprio reddito.

Le domande vertono sui temi più disparati. A titolo di esempio voglio citare anche il grado di soddisfazione circa il tempo medio necessario per trovare un nuovo impiego (44% del campione ha espresso parere positivo), ma tendono a misurare anche i livelli di soddisfazione personale, di stress, di ansia e rabbia che quotidianamente possono prendere il sopravvento nelle giornate dei lavoratori.

La situazione in Italia in rapporto all’UE secondo Gallup

Tutti gli indicatori apparentemente segnano una media positiva ma, appunto, si rivolgono all’intero territorio Europeo. Il report fornisce anche dati riguardo i singoli Paesi, in rapporto gli uni con gli altri rispetto all’area di appartenenza.

Ed è proprio a questa appendice, che nel documento si trova a pagina 115, che possiamo vedere misurazioni più concrete relative all’Italia: siamo all’ultimo posto in Europa per coinvolgimento dei dipendenti, e tra i primi dieci per livello di preoccupazione e stress giornaliero. Dati in calo rispetto alla precedente misurazione, ma ancora molto lontani da un reale bilanciamento tra lavoro e vita privata. 

Siamo inoltre, dopo Cipro, il Paese con più alto tasso di tristezza giornaliera, alla posizione 36ma per soddisfazione in merito alle azioni intraprese contro il cambiamento climatico (classifica che premia invece Finlandia, Svizzera e Lussemburgo), e molto restii a voler lasciare la nostra terra d’origine anche se consci di perdere delle opportunità. 

Ora, dal mio punto di vista è possibile leggere questi dati in due modi diversi: continuando a ripetere che amiamo il sistema in cui viviamo, esattamente come la Emily citata in apertura, che tenta di convincersi che valga la pena sopportare tutto per un fine che ormai sembra una pallida imitazione delle iniziali ambizioni, oppure cercare di invertire la rotta come invece dopo vari tentennamenti prova a fare la seconda assistente, Andrea, interpretata da Anne Hathaway.

Proprio lei, nel film, si presenta con un curriculum di inchieste di denuncia sociale, come il famigerato e più volte citato pezzo “sui sindacati dei portieri”. E forse (spoiler, ma dopo sedici anni penso si possa fare) il fatto che alla fine questa sua vena critica riesca a prendere il sopravvento su tutto il resto può essere indice che anche una commedia leggera possa essere in grado di portare spunti di riflessione personali, pur con quasi vent’anni sulle spalle, e che non tutto sia perduto nel mondo reale, come invece alcuni scoraggiati vorrebbero farci credere.

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