Le storie degli omosessuali perseguitati dal nazi-fascismo sono storie sommerse, che fanno fatica ad emergere, anche durante la Giornata della Memoria.
Noi ne vogliamo parlare con Anna Segre, firma da sempre impegnata sul tema, perchè su queste storie dolorose bisogna tenere sempre la luce accesa.

20 anni fa, mentre ero alle prese con la convalescenza da un brutto incidente, mi imbattei nel docufilm Paragraph 175, diretto da Rob Epstein e Jeffrey Friedman, e narrato da Rupert Everett, che mi apriva uno squarcio di dolore e orrore su una pagina della storia che conoscevo poco o che fingevo di conoscere poco perché mi riguardava direttamente: la persecuzione e lo sterminio degli omosessuali da parte del nazi-fascismo.

Da quando ero bambino sono stato sempre, come molti altri, abituato all’esercizio della memoria per quanto riguarda una pagina nera della storia dell’umanità: l’Olocausto, lo sterminio degli Ebrei e di altre minoranze razziali, politiche o sociali. Chissà perché mai mi era stato raccontato delle persone omosessuali e di cosa era loro avvenuto durante il regime nazista.

Sentire la voce e vedere le facce spaurite di questi anziani omosessuali raccontare della loro vita prima, durante e dopo la permanenza nei campi di prigionia nazisti mi ha interrogato molto sulla esperienza di difficoltà che hanno esperito questi fratelli e sorelle di vita.

20 anni dopo, ho voluto approfondire alcune domande che mi sono venute in mente con Anna Segre che ha studiato in profondità le ragioni e gli accadimenti legati alla persecuzione delle persone omosessuali durante il nazifascismo.

Anna Segre, medico, psicoterapeuta, scrittrice, ha curato e scritto, tra l’altro, “Judenrampe“, gli ultimi testimoni, con Gloria Pavoncello (ed. Elliot), e “Fatina Sed“, biografia di una vita in più, curato e scritto con Fabiana Di Segni (ed. Elliot).

Salve Anna, ci aiuti a dare qualche numero sulla persecuzione di omosessuali e transessuali durante il nazismo.
Da 1.000 condanne nel 1934 a 10.000 condanne nel 1937. La considerazione dei numeri in questo caso non è indifferente. Di più di 500.000 ebrei residenti in Germania prima dell’avvento del nazismo, circa 300.000 emigrarono nei primi sei anni di regime, dei restanti 200.000 quasi il 90% furono deportati e uccisi.
Dei 100.000 omosessuali arrestati negli stessi anni sempre in Germania, 50.000 vennero
condannati. Dei 15.000 deportati nei campi di sterminio, ne morirono più del 60%, percentuale seconda solo a quella degli ebrei. I numeri che riguardano lo sterminio degli ebrei riguardano tutta l’Europa, i numeri che riguardano la persecuzione e deportazione degli omosessuali riguardano solo il Reich, perciò sono veramente numeri importanti. I transessuali non sono nemmeno nominati, anche se ipotizziamo fossero inclusi nella denominazione generica ‘omosessuali’.

Quali sono le ragioni della persecuzione degli omosessuali in Germania?
La persecuzione degli omosessuali fu perpetrata tramite l’inasprimento del Paragrafo 175. La legge, già presente dal 1871, recitava: “La fornicazione contro natura, cioè tra persone di sesso maschile, ovvero tra esseri umani ed animali, è punita con la reclusione; può essere emessa anche una sentenza di interdizione dai diritti civili.”
Nel 1935 vengono apportate le seguenti modifiche:
1) un uomo che ricopra un ruolo attivo o passivo in atti di fornicazione con altri uomini è punito con la reclusione.
2) Se nell’attività è coinvolta una persona che, all’epoca del fatto, non aveva ancora raggiunto il 25esimo anno di età, la corte non può non emettere una sentenza di condanna, anche nei casi lievi.
Ci sono molti sottocapitoli a questa nuova versione del paragrafo 175, in particolare fa riflettere questa espressione: “Unzucht treibt”, letteralmente: una persona che fa qualcosa a un’altra, inclusi: Sguardi, Intenzioni, Pensieri, Desideri, Fantasie, Baci,
Carezze, Sogni, Ammiccamenti.

Qualsiasi gesto o non-gesto sono contemplati da questa versione del paragrafo 175.
Chiunque, anche solo per sentito dire, per pettegolezzo, per ogni tipo di delazione può essere arrestato con la motivazione “Unzucht treibt”. Un agio eccezionale di arrestare che segna un picco nella curva riguardante l’applicazione del paragrafo 175.

Inizialmente sfruttato da Hitler per togliersi di torno personaggi scomodi, come Röhm, notoriamente omosessuale, il paragrafo 175 diventa il mezzo per riallineare maschi e femmine rispetto alla procreazione necessaria a fare grande il Reich: Himmler fa un discorso molto chiaro, al Reichstag, nel febbraio 1937, specificando che, a fronte di un numero abbastanza stabile di donne (il famigerato stock di ovuli ariani), con milioni di uomini impegnati al fronte di cui due milioni morti in battaglia, due milioni di omosessuali in patria non sono accettabili, e che gli omosessuali non possono pensare che il loro corpo gli appartenga. Appartiene alla patria e serve agli scopi dello stato, che sono anche la produzione del numero più alto possibile di unità ariane. A questo scopo scatta una persecuzione sistematica, tramite liste stilate nei locali per omosessuali, delazioni, e le cosiddette corti genetiche composte da un giudice e un medico che avevano il compito di perseguire omosessuali, donne tedesche ariane che abortivano, donne non ariane che non volevano abortire o cercavano di sottrarsi alla sterilizzazione forzata.
Quindi, per sintetizzare: la persecuzione degli omosessuali aveva lo scopo ufficiale di costringere ogni maschio tedesco a eiaculare in uteri ariani e da nessun altra parte.

A distanza di decenni, solo pochissimi superstiti hanno accettato di raccontare la loro tragica esperienza nei campi di concentramento e sterminio partecipando al docufilm “Paragrafo 175”. Quali filoni comuni ravvisi in quelle storie e quali peculiarità?
Alla fine della guerra e all’apertura dei campi di concentramento e sterminio, il paragrafo 175 rimase in vigore. Un po’ di date per rendere l’idea.
Fino al 1969 il paragrafo 175 vige come durante il nazismo;
fino al 1979 nella Germania ovest si eseguivano lobotomie per omosessualità; fino al 1971 in Austria vigono leggi anti omosessualità. Fino al 1982 anche in Francia ci sono leggi contro l’omosessualità.
Solo nel 1994 in Germania la depenalizzazione sull’omosessualità è completa.
Fino al 1995 il parlamento tedesco rifiuta di riconoscere risarcimenti alle vittime omosessuali della persecuzione nazista.
E solo nel 2001, dopo l’ennesimo rifiuto di risarcimento da parte dell’Austria per le vittime omosessuali, vengono stanziati fondi elvetico tedeschi per questo scopo.
Quasi 60 anni dopo.
Pochissimi ancora vivi: gente arrestata dopo i 25 anni durante il nazismo.
Da ciò si può facilmente dedurre l’estrema difficoltà di testimoniare e di esporsi.
I triangoli rosa sono stati perseguitati tutta la vita. Non è che, se lo stato ti considera fuorilegge, i vicini di casa simpatizzano con te. La legge crea prima il comportamento e poi la mentalità: non solo non simpatizzano, ma ti disapprovano, ti giudicano. E tu, che sei stato educato nello stesso ambiente, anche tu ti giudichi. Gad Beck, l’unico ebreo tra questi testimoni triangolo rosa, sembra il più tranquillo a dire la propria storia e questo mi ha fatto pensare che è stato aiutato dalla propria appartenenza a una comunità ebraica e a una cultura che considera la testimonianza e la memoria (e l’autoironia) valori assoluti.

Si sono nascosti molto a lungo. L’apertura dei campi non fu per loro l’inizio di una nuova vita e di una narrazione di sé, bensì la prosecuzione di un nascondimento necessario.
Nel docufilm Paragrafo 175 salta all’occhio la difficoltà di raccontare e di esporsi dei 5 coraggiosi che hanno osato mostrare la faccia mentre dicevano di essere stati triangoli rosa. Traspare, in queste testimonianze, l’impotenza rispetto a un sistema implacabile, il dolore di rimanere se stessi a dispetto della legge e della persecuzione, vite straziate nell’affettività senza alcun riconoscimento né risarcimento.

Quale era la vita dei triangoli rosa dentro i campi di concentramento? Vivevano una discriminazione anche da parte degli altri prigionieri?
I triangoli rosa nei campi di concentramento e sterminio erano l’ultimo anello della catena alimentare: derisi, dileggiati anche dagli altri prigionieri, soggetti a scherzi atroci e ad atti di ‘rieducazione’ crudeli, oggetto di esperimenti neuroendocrini e chirurgici volti all’estirpare da loro la supposta malattia dell’omosessualità.
Alberto Mieli, sopravvissuto all’Olocausto ne fa menzione in un’intervista, scusandosi 60 anni dopo rispetto a questo trattamento, non tanto per aver preso in giro a sua volta, bensì per non aver detto o fatto nulla a difesa.

Per tanti anni, della persecuzione di omosessuali e transessuali durante il nazifascismo non si è parlato. Solo recentemente sono cominciate ad uscire pubblicazioni. Come mai questo oblio?
Ti formulo tre ipotesi a riguardo:
1) La damnatio memoriae è un metodo estremamente efficace. Non nomini il soggetto, il soggetto non esiste. In Italia l’omosessualità è stata trattata così: come se non esistesse. Anche nelle commemorazioni.

2) D’altra parte, gli omosessuali italiani sono stati perseguitati dal codice Rocco (ndr si legga al proposito il volume “La città e l’isola – Omosessuali al confino nell’Italia fascista” di Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio) ma non deportati dai
nazisti. Mentre gli ebrei erano una “piaga” verso la quale c’era l’ossessione di estirpazione totale come popolo dappertutto, in tutta Europa. Gli omosessuali di qualsiasi altra nazione erano del tutto ininfluenti rispetto alla procreazione per il Reich.
3) La persistenza del paragrafo 175 fino al 1969 proprio come era stato formulato dal nazismo, e la permanenza di leggi antiomosessuali fino al 1994 ha fatto sì che l’argomento fosse ambiguo e che non ci fosse riconoscimento di persecuzione rispetto a questa categoria. Tant’è vero che non ci sono stati praticamente risarcimenti per persone perseguitate tutta la vita
iniquamente per questo.

Condividi: