Quando nel 1956 lo zoologo Desmond Morris porse un foglio e una matita a Congo, un giovane scimpanzé di due anni, difficilmente avrebbe potuto immaginare l’estro pittorico di questo animale. Le opere di Congo trovarono l’elogio di pittori di fama internazionale come Mirò e Dalì, mentre Picasso giunse ad acquistare un quadro di Congo.

Si arrivò persino a un’esposizione nel 1957 presso l’Institute of Contemporary Arts di Londra curata dallo stesso Morris e nel 2005 alcuni dipinti di Congo sono stati venduti al prezzo di quasi 15.000 sterline. Che si possa parlare di una comune origine animale del senso artistico non deve sorprendere.

Uno dei dipinti dello scimpanzé Congo

Nella seconda metà del XX secolo, il biologo tedesco Bernhard Rensch (1900-1990) mise a punto delle ricerche che dimostravano come certi animali avessero delle preferenze rispetto a particolari forme, mettendo a confronto alcuni primati, come scimmie cappuccine e cercopitechi, e corvidi, in particolare cornacchia e corvo.

Come sottolinea Giorgio Celli nel saggio Arte e biologia: una scommessa evoluzionista il fatto che si possa parlare di una preferenza rispetto a forme, vale a dire di un’estetica animale, avvalora l’ipotesi di un’emancipazione dall’utilità, di una percezione paga di se stessa.

Del resto lo stesso Charles Darwin nel saggio del 1871, L’Origine dell’uomo e la selezione sessuale, aveva chiamato in causa una concezione specie-specifica del bello per spiegare il dimorfismo sessuale e per questa ragione venne aspramente criticato. È indubitabile l’orientamento estetico degli uccelli giardinieri nell’adornare il loro patio.

Come riporta Donald Griffin nel saggio Menti animali (1992), le diciotto specie di questi straordinari uccelli costruiscono i loro pergolati attraverso criteri estetici di simmetria, accostamenti cromatici, preferenze di colori, utilizzo di vernici naturali da apporre avvalendosi di strumenti.

Gli uccelli giardinieri usano piume, bacche, foglie, gusci di chiocciole, fiori per ornare le loro costruzioni; inoltre, grazie agli studi di Jared Diamond (1982), in alcune specie si è potuto notare che le decorazioni dello stesso colore erano raggruppate insieme, suggerendo che fosse presente nell’uccello una preferenza per certi schemi ornamentali.

Wolfgang Welsh, nel saggio The Animal Origin of Aesthetics, sostiene che l’estetica abbia avuto origine nel mondo animale, cosicché l’evoluzione culturale verificatasi nell’essere umano deve essere ricondotta a una radice già presente nelle altre specie. L’autore rimarca come l’analisi dell’estetica animale possa aiutarci a comprendere meglio l’orientamento estetico nella cultura umana, evitando il pregiudizio per cui l’essere umano possa e debba essere compreso solo a partire dallo stesso essere umano.

A differenza di Darwin, che parlava di un genuino senso estetico, spesso si tende a riportare ogni preferenza a un valore di fitness, quando al contrario essa potrebbe definire lo stile di una specie solo in un secondo momento, ponendosi al vaglio selettivo. Come riporta Henkjan Honing, nel saggio La scimmia batte il tempo, è possibile individuare dei criteri estetici nei vari animali, ovviamente differenti a secondo della specie.

Per quanto riguarda il canto dei fringillidi si parla addirittura di note sexy, che hanno un’influenza diversa a seconda delle particolari condizioni ormonali del ricevente. Del resto, anche nell’essere umano si sono potute misurare differenze nell’udito delle donne in base a fattori fasici, come la stagionalità e il ciclo, cosicché quando il livello degli estrogeni è alto si percepisce la voce maschile come più piena.

Un saggio, uscito nel 2020 per la collana Animalia della casa editrice Adelphi, fa piena luce sull’estetica animale e sul contributo che l’estetica abbia svolto nel processo dell’evoluzione. Si tratta del libro L’evoluzione della Bellezza, di Richard O. Prum, dove si sottolinea l’importanza dell’esperienza soggettiva nell’osservatore allorché si trova di fronte alle straordinarie coreografie di alcuni rituali di corteggiamento, come quella del maschio di paradisea superba (Lophorina superba) o dell’argo maggiore (Argusianus argus).

Paradisea superba (image by John Gould & William Matthew Hart)
Argo maggiore – Photo by David J. Stang

Insomma non siamo gli unici detentori del bello e del sublime, ma a una condizione, come dicevano i latini: sul gusto non si può discutere.

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