Uno scrittore siciliano abilissimo a raccontare l’attualità e un ex poliziotto che oggi è un giornalista inviato speciale del programma tv Chi l’ha visto, decidono di lavorare insieme a un caso di cronaca nera. Si concentrano su una modalità troppo spesso dimenticata dal giornalismo: approfondire il fatto accaduto con il rigore delle verifiche ma riscriverlo alla luce dell’umanità dei protagonisti. Buoni e cattivi

È il caso di Vite senza gloria (Leima), il romanzo verità di Giacomo Cacciatore e Giuseppe Pizzo sull’omicidio di Gloria Rosboch avvenuto a Castellamonte, nel Torinese.

Chi non ricorda Gloria Rosboch, la professoressa di mezza età con una vita trascorsa tra il lavoro di insegnante di sostegno, la casa condivisa con gli anziani genitori, Ettore e Marisa e le sante messe. Gloria Rosboch che veste male, che non è bella e che sembra impermeabile ai sogni, viene invece sedotta e manipolata da un suo ex studente poco più che ventenne.

Lui si chiama Gabriele Defilippi, è bello e ambiguo, in tutti i sensi. La incanta, la manipola, le sottrae tutti risparmi di una vita e, alla fine, la uccide. Il classico caso di truffa romantica che però finisce male per tutti. Fin qui i fatti giudiziari, con tanto di condanna di colpevoli e complici-succubi della personalità narcisistica dell’assassino. 

Ma tra il ritrovamento del corpo di Gloria Rosboch nel pozzo di una discarica e la condanna di Defilippi  c’è una lunga storia fatta di persone, sentimenti, inganni, illusioni emotive e dinamiche sociali.

veduta di Castellamonte (Torino), il comune di Gloria Rosboch
licenza Photo on Wikipedia

Che giri fanno due vite 

Cacciatore e Pizzo sono meticolosi nella ricostruzione del caso, delle sue radici, delle indagini e del processo, ma anche nel ricostruire dettagli che danno corpo a due esistenze, quella di Gloria e del suo carnefice.

In Vite senza gloria gli autori più che raccontare, mostrano (come accade nella buona letteratura) tutta la fragilità del vivere, pur muovendosi sempre e solo dentro i binari della realtà.

I due autori conducono lettrici e lettori dentro le case dei protagonisti, negli abitacoli delle loro auto, dentro la memoria dei loro cellulari. Non certo per voyeurismo ma per aggiungere contesto e sostanza a quella realtà che ascoltiamo assuefatti o leggiamo nello spazio di una corsa di metropolitana.

Andando a ritroso, è il 2002. In quella stanza di casa Rosboch tutto parla di Gloria, e da sempre. Dicono tanto di lei l’armadione bianco, più rassicurante che pratico, la grande specchiera, forse troppo grande per una donna abituata a tenere gli occhi bassi dietro un paio di occhiali da vista, e il letto a due piazze, il suo, sempre usato da sola. Parlano di piccole certezze tenute strette: ai piedi del letto una poltrona coperta da un lenzuolo anti polvere, e uno sgabello, e un comodino, e carta da parati con decori minuti (fiori o uccellini? Poco importa). Tende candide addolciscono la finestra quando il sole si fa invadente. Un lampadario di vetro è pronto a scacciare il buio all’imbrunire.

Alcune versioni di Gloria, diverse tra loro di poco o di niente, accolgono senza sorriso, da cornici d’argento. In questa foto era bambina: frangetta, mani dietro la schiena. In un’altra, più adulta: ancora frangetta, braccia incrociate sul petto, un timido anello che pare essersi costretta a mostrare all’obiettivo, pur di brillare di tanto in tanto. Della bambina che è stata, nelle istantanee di un’età più matura si riconosce ancora, nonostante il tempo passato, quel taglio quasi orientale degli occhi. Ma qualche capello è imbiancato, qualche ruga di stanchezza è apparsa.

Pure il luogo del delitto non si riduce al solo teatro dell’oscurità umana; è invece il confine che segna la fine di tutti i sogni, leciti e illeciti.

Mentre Gabriele programma dove seppellire il corpo di Gloria, continua a manipolare il suo complice – amante, Roberto Obert. E lo fa usando ancora una volta la trappola del sesso.

Abbiamo fatto l’amore, quel giorno. Due volte. La prima a casa mia. La seconda era sesso e basta. Cocaina? Lo sai, con te non ne avrei avuto bisogno. Eri tu la mia droga. Non c’entra un tubo, la cocaina. Ma tu dimentichi presto.

A casa è stato amore, altro che nervoso, altro che fare cilecca. A Rivara è stato uno scaricarsi. Che altro avrebbe potuto essere, in una discarica, i fari accesi a guidarci nel buio che arrivava? Abbiamo spremuto un po’ l’uno dall’altro, poi io sopra, tu sotto e viceversa.

Non ci siamo capitati per caso né per desiderio, alla discarica dismessa di Rivara. Forse io sì, ma tu cercavi un posto. Ti era presa la fissazione. “Tatatatà. Portami in un posto dove fare sparire la puttana. Portami dove far sparire la Rosbòch. Rischio tre anni. Gliela faccio pagare. Portami…”.

Una tempesta emotiva

È infine il desiderio l’altro protagonista di questo romanzo inchiesta di Cacciatore e Pizzo. Non solo quello di una coppia di genitori che aspira fortemente alla verità e alla giustizia, ma anche quello di Gloria “con la testa sulle spalle” che impiega tutte le sue energie per i suoi studenti, che attende paziente il suo amore Gabriele contro ogni evidenza, che pone fiducia nella vita stessa affinché i sogni di cambiamento si possano realizzare ad Antibes.

Ciao tesoro. Ti scrivo in un giorno speciale. Non sono in collera con te. Io vorrei vederti. Oppure non ti va né di vedermi, né di sentirmi? Allora chiudo con questa frase: il bacio, tre vite. Nasce nell’animo di chi lo dona. Resta nel cuore di chi lo riceve. E rimane nella memoria di chi ti vuole bene. Gloria

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