Negli ultimi anni, in Italia, sono state diverse migliaia i delitti perpetrati all’interno delle famiglie o dei rapporti di coppia. Uomini e donne uccisi da chi un giorno pensavano fosse degno della loro fiducia assoluta, del loro amore. Persone di cui forse intravvedevano limiti e difetti, ma non certo una carica di odio e di violenza come un giorno si sarebbe sprigionata.

Allora come è stato possibile che questo sia accaduto? Bisogna capire, bisogna andare a guardare, con il coraggio di chi riesce a non schierarsi fino in fondo e a collocare le vicende in un contesto sociale, politico e umano ben definito.

Calandrone, due libro, un percorso, una vicenda dolorosa

In questo percorso ci guida Maria Grazia Calandrone, forte della sua dolorosa vicenda umana e di due libri pregressi che proprio di amore e morte trattano e che le hanno guadagnato il consenso di moltissimi lettori.

Magnifico e tremendo stava l’amore (Einaudi, pp 336, euro 20.00) è il titolo del suo ultimo libro che rivela insieme al passo poetico di alcune pagine, il tema ruvido della narrazione.

Il libro, la trama, i personaggi

L’autrice prende in considerazione un fatto di cronaca. Si prende le mosse dall’inizio degli anni Ottanta. Facilmente rappresentati come il massimo della vacuità e del disimpegno. Due giovani calabresi si innamorano, in estate incontrandosi sul litorale della loro terra d’origine. Luciana, diciassette anni, di studi classici, ha ormai la famiglia che vive a Roma e che lei sta per raggiungere. E’ carina, colta e piena di vita. Domenico, rampollo di una agiata famiglia locale è un bell’uomo e un buon partito. Ci mettono poco a innamorarsi e poi a sposarsi.

Ben presto si scopre che lei rimarrà sempre sola e che lui ha avuto un’infanzia molto particolare, non certo felice. Inizia un corpo a corpo tra i due giovani, le loro famiglie di origine, i figli che nascono con una certa frequenza e le città e le case dove nel tempo si trasferiscono.

Calandrone cerca nei particolari, indaga anche nelle considerazioni brevi che Luciana lascia come frammenti di vita nel suo diario ricoperto di peluche color fragola. La violenza poi esplode nel quotidiano, anche quando la legge impone gli allontnamenti anche quando i bambini vedono, anche quando i bambini guardano.

E il lettore ha la grande opportunità di seguire il (lento) iter legislativo del nostro paese in termini di giustizia per la violenza domestica proprio perché l’autrice si premura di agganciare i fatti costantemente a quello che accade in Italia in quegli anni.

Forte, come una tragedia greca, questo ultimo romanzo di Maria Grazia Calandrone sceglie di collocarsi dove le disgrazie umane mescolano i propri limiti tra il bene e il male. Dove i protagonisti, a un occhio esterno, è difficile vederli solo nel ruolo del carnefice o della vittima. Naturalmente abbiamo chiaro a chi dare ragione ma, al contempo, proprio perché parliamo di relazione, non possiamo non vedere la zavorra che costringe i diversi protagonisti.

E rimaniamo con alcune domande inevase:

“Riconosciamo per istinto genetico le creature come bacche velenose? E sono proprio le pozioni letali che cerchiamo perché danno alla testa?”

“Siamo resi completamente imbecilli dalle scie chimiche rilasciate dai corpi in amore?”

“E’ veramente vero che, al primo sguardo, sappiamo sempre e immediatamente cosa aspettarci dall’altro”?

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