Come raccontavamo qui la fame nel mondo è in crescita, ed è ormai pacifico che tale stato di denutrizione e difficoltà di accesso agli alimenti non riguardi la produzione, bensì la redistribuzione dei prodotti.

Su questi temi si veda, ad esempio, AEFJN, Statement on the Use of GMO Food and Seeds in Africa, 12 novembre 2004: “tra i problemi a ragione dell’insicurezza alimentare e della fame nel mondo vi sono: la struttura della produzione globale del cibo, l’incremento dei poteri di controllo della filiera alimentare (dai campi alla tavola) da parte delle multinazionali e i problemi di redistribuzione. Ecco perché, per risolvere il problema della fame nel mondo, occorre risolvere i problemi strutturali concernenti la produzione e la distribuzione degli alimenti a livello globale, regionale, nazionale e locale”.

La disponibilità, o addirittura l’abbondanza di cibo e di ricchezze naturali è ormai un dato certo. Altrettanto certo è il fatto che la soluzione al problema della fame nel mondo risieda proprio nella capacità di redistribuire tale abbondanza. La maggior parte del cibo prodotto, invece, è immesso nel mercato o usato per destinazioni contrarie alle esigenze dei paesi in via di sviluppo (come i biocarburanti). Ciò permette ai grandi produttori di generi alimentari di fare grossi profitti e al contempo produce danni, non solo alle popolazioni del Sud del mondo, ma anche a quelle del Nord, incrementando il numero degli obesi e dei diabetici (lo riporta, con grande accuratezza di dettagli, R. Patel, I signori del cibo, tr. it. da Stuffed and starved: Markets, Power and the Hidden Battle for the World Food System, London: Portobello Books Ltd, 2007, Torino, Einaudi, 2008, passim ).

La Fao si è riunita in più occasioni per affrontare il problema dell’insicurezza alimentare, ma non è ancora riuscita a risolverlo. Con una miopia preoccupante, che solleva dubbi sulla buona fede dei delegati nazionali e dei funzionari dell’Organizzazione, si è proposto di incrementare la produzione di beni alimentari (del 70% entro il 2050) attraverso l’uso di nuove tecnologie (FAO, How to feed the World in 2050. Background Paper Prepared for the High-Level Expert Forum on How to Feed the World in 2050, UN Food and Agriculture Organization, 2009). Tra queste, gli organismi geneticamente modificati (OGM).

A tal riguardo, occorre dire che non solo tale approccio servirebbe a poco, ma produrrebbe anche altri rischi. Contrariamente a quanto affermato dalle multinazionali che li producono e da alcuni governi paladini del lasseiz faire e della tecnologia ad ogni costo, infatti, gli OGM presentano numerosi rischi e prospettive preoccupanti. Per maggiori dettagli su rischi e criticità degli OGM rinvio a un precedente post e al mio contributo sul Mag-book Rewriters dedicato al Pianeta Terra. Ma soprattutto gli OGM non sembrano in alcun modo in grado di essere utili nella lotta alla fame e alla malnutrizione.

La possibilità di adoperare brevetti sui beni geneticamente modificati e la necessità di disporre di tecnologie avanzate e molto costose per dare vita a tale metodo produttivo conferiscono elevati poteri, legali e de facto, alle imprese multinazionali che hanno l’oligopolio della produzione di OGM.

La difficoltà di creare un mercato concorrenziale e la ridotta varietà qualitativa dei prodotti in questione condurrebbero allo sviluppo di un commercio prevalentemente legato al prezzo, con un favor per i soggetti economici più forti e meglio organizzati e per i beni di produzione industriale. La diffusione su scala mondiale degli OGM avrebbe un impatto rilevante e negativo per tutti gli altri produttori alimentari, che dovrebbero affrontare concorrenti in grado di praticare prezzi più bassi a fronte di prodotti apparentemente identici a quelli tradizionali. L’elemento del prezzo, nella sana lotta concorrenziale tra produttori, annichilirebbe quello della qualità, se non per i prodotti di nicchia. E metterebbe in ginocchio molti agricoltori di piccola o media scala, aumentando il numero di poveri non in grado di acquistare cibo.

Inoltre, allo stato attuale della ricerca scientifica sul tema non esistono piante GM resistenti a malattie, siccità, salinità e alte temperature che potrebbero superare alcuni problemi di natura fisica che danneggiano le rese agricole e contribuiscono a causare fame e malnutrizio.

Infine, in vari interventi di studiosi ed esperti si legge lo slogan – ormai divenuto un tormentone – secondo cui l’uomo ha sempre modificato la natura e quindi gli OGM sarebbero in continuità con il passato. Ma non è una lettura corretta del fenomeno. L’uomo non si è mai spinto così in avanti, non ha mai modificato il DNA in laboratorio e non ha mai incrociato specie diverse come nella tecnologia transgenica.

L’esempio della banana

C’è chi (Dario Bressanini, Pane e bugie, Chiarelettere, 2013) sostiene che grazie alla biotecnologia si potrà salvare la banana, messa in pericolo dai parassiti, aiutando le popolazioni dei paesi tropicali che traggono un sostentamento proprio dal commercio di tale prodotto. Bressanini dimentica però che una volta ottenuta la banana GM – che sia nociva, salutare, buona o cattiva – questa sarà brevettata dalle multinazionali che la produrranno. I poveri contadini dei paesi tropicali, se vorranno continuare a produrre banane, dovranno pagare i diritti intellettuali a una compagnia privata. Solo un esempio, di un caso neanche tanto controverso, ma sufficiente a sollevare non poche perplessità. Che ci portano a domandare, a Bressanini, alla Gatesfoundation (del noto miliardario Bill Gates, che sostiene gli OGM, individuandoli come la soluzione per combattere la fame nel mondo), alla Monsanto e ad altri, come l’imposizione di brevetti e l’alienazione di semi sterili possa condurre ad una diminuzione della fame nel mondo.

Altre problematiche riguardano il settore agricolo sia per ciò che concerne i piccoli produttori, impossibilitati a competere con le multinazionali o ad utilizzare laboratori per modificare i geni; sia i lavoratori, le cui funzioni sarebbero sostituite dalle nuove proprietà della pianta.

Infine, la possibilità di brevettare i prodotti GM creerebbe posizioni dominanti difficili da sradicare, segnatamente nella comunità internazionale, e a tutto svantaggio dei coltivatori tradizionali, in special modo con riguardo ai Paesi in via di sviluppo, dove i contadini non perderebbero solo l’unicità e la specialità dei loro prodotti, ma soffrirebbero altresì una limitazione alla produzione e al commercio di questi ultimi a causa delle royalties dei grandi produttori.

E allora vale il consiglio di sempre: documentatevi, leggete e studiate. E non credete agli imbonitori che propongono facili soluzioni a problemi complessi.

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