Lo scorso 5 aprile il Senato ha approvato definitivamente la proposta di legge (S.1371), che prevede l’istituzione della Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, individuandola nella data del 26 gennaio, anniversario della battaglia di Nikolajewka. Questa proposta di legge, approvata dalla Camera nel 2019 (A.C.622-A) è attualmente alla firma del Presidente della Repubblica.

La notizia mi ha inizialmente commosso. Sono cresciuto con le storie raccontate da mio padre, cresciuto a Susa, dove gli Alpini del 3° Battaglione hanno rappresentato e forse ancora rappresentano un punto di riferimento della cultura locale.

Domenico, mio padre, andò in montagna a combattere con i partigiani nel 1944, appena compiuti 16 anni, un po’ per scappare dai nazifascisti che deportavano in Germania tutti i maschi sopra quell’età, un po’ perché aveva visto con i suoi occhi l’orrore delle deportazioni, delle esecuzioni sommarie di molti e tra questi anche di giovani suoi amici.

Si unì alle formazioni della IV Divisione Alpina Giustizia e Libertà Stellina, attive su quelle montagne, guidate dal Comandante Aldo Laghi, al secolo Giulio Bolaffi (1902-1987).

Nella foto che è stampata nella mia memoria, mio padre alla fine della guerra posa con moschetto e cappello con la penna nera, perché praticamente tutti i partigiani di quelle valli erano alpini che l’8 settembre 1943 seppero fare la scelta meno facile e più coraggiosa per consentire la rinascita dell’Italia democratica e antifascista.

Io, come le mie sorelle, sono cresciuto con le canzoni degli alpini insegnatemi da mio padre e da mia madre, anch’esse parte integrante della nostra storia al punto che il Coro degli Alpini è un’istituzione riconosciuta a livello internazionale.

Parlo delle canzoni perché se da bambino sognavo di diventare un alpino con la penna nera e col moschetto e poi invece ho scelto di diventare un obiettore di coscienza lo debbo molto ai testi di quelle canzoni che sono entrati pian piano nella mia coscienza facendomi percepire, senza averla fortunatamente vissuta, l’orrore della guerra.

Sono tutte canzoni senza ideologia, né militarista, né antimilitarista. Ma parlano del dolore della perdita, del distacco dalle persone amate, del desiderio di ritorno a casa di ragazzi impauriti e spaesati, ben lontani dal fervore nazionalistico.

A 56 anni ancora piango quando canto Sul Ponte di Perati al punto in cui la strofa dice “la meglio gioventù che va sottoterra”. O quando ne La Tradotta che parte da Torino il giovane alpino in punto di morte dice alla suora A Nervesa c’è una croce, mio fratello è sepolto là, io c’ho scritto su Ninetto, così la mamma lo ritroverà.

Quelle canzoni, cantate dagli alpini partigiani erano state cantate dagli alpini nella Prima guerra mondiale e ancora da altri alpini nei primi tre anni della folle guerra nazifascista contro il mondo. Ragazzi mandati a morire per interessi nazionali in Africa, in Grecia, in Russia.

Nel documento di identità partigiana, mio padre è indicato giustamente come patriota.

In quel termine patriota, che riscrive il significato fosco attribuitogli dai fascisti, e nel ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali dell’articolo 11 della nostra Costituzione ho voluto leggere sin oggi l’immensa trasformazione che la guerra partigiana aveva radicato nel sentimento profondo della nostra nazione, ossia l’abbandono definitivo del nazionalismo, causa di tutti i mali del secolo scorso e di quello presente fino all’ennesimo orrore della guerra in corso in Ucraina, in favore di una visione nuova in cui la nostra identità nazionale è messa al servizio della pace e di una visione internazionalista, come espressa nel Manifesto di Ventotene da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, altri padri nobili dell’antifascismo.

La storia degli Alpini, istituiti come Corpo delle Forze Armate nel 1872, è parte integrante della nostra storia nazionale ed attraversa tutte le sue fasi e ovviamente tutte le sue contraddizioni.

Per celebrarne la memoria e il sacrificio ovviamente è possibile prendere ad esempio qualunque evento della loro lunga storia, consapevoli che quella scelta ha ed avrà un significato simbolico che affidiamo alle future generazioni.

La data scelta del 26 gennaio ricorda la battaglia di Nikolajewka nel 1943 e, come si legge sul sito istituzionale del Parlamento italiano, lo scopo del provvedimento è quello di promuovere “i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano” (art.1).

Secondo Sebastiano Favero, Presidente dell’Associazione Nazionale Alpini, questa battaglia assurge a simbolo del valore e dello spirito di sacrificio delle penne nere. Il sito di RaiNews sintetizza così quella battaglia “un feroce scontro tra le incalzanti truppe sovietiche e le forze residue dell’Asse”.

Se metto insieme tutte queste cose ne debbo desumere che secondo il Parlamento unanime, democraticamente e legittimamente rappresentante del popolo italiano, un episodio della guerra di aggressione perpetrata da parte delle forze dell’Asse, ossia dell’Italia fascista e della Germania nazista, nei confronti dell’allora Unione Sovietica alleata con Stati Uniti e Gran Bretagna, e costata a quel popolo circa 26 milioni di morti, rappresenterebbe “i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato”.

Sebbene la recente orribile guerra in Ucraina (che con surreale simmetria si combatte negli stessi luoghi di allora) ci stia esponendo al rischio di manipolazione delle informazioni e di mistificazione, mantengo ancora un barlume di lucidità che mi consente di distinguere, ora come allora, chi sono gli aggressori e chi sono gli aggrediti.

E non c’è alcun dubbio che la disgrazia della Seconda guerra mondiale ricada sull’Italia fascista quanto sulla Germania nazista, di cui l’invasione dell’URSS fu uno dei momenti più drammatici.

In quella battaglia morirono 40.000 dei nostri 60.000 Alpini mandati là a morire e che come racconta Mario Rigoni Stern in Il Sergente nella Neve, fu tutt’altro che a difesa dell’interesse nazionale, quanto per la strenua difesa della propria vita da parte di migliaia di poveri ragazzi mal equipaggiati mandati al macello a migliaia di chilometri di distanza dalla follia del regime fascista.

Per quanto mi possa sforzare, mi è impossibile riconciliare quegli eventi con i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale, a meno che lo spirito di cui è intrisa la nostra Costituzione repubblicana e antifascista non sia violato e tradito, così come il sangue di tutte quelle donne e quegli uomini che hanno dato valorosamente la vita, non per un astratto interesse nazionale, ma, loro sì, per un’idea ben concreta, basata sul rispetto della dignità della vita di ogni persona e dunque inconciliabile con guerre di aggressione qualsivoglia.

Per tutti questi motivi ho deciso di scrivere una lettera al nostro Presidente della Repubblica, chiedendogli di rimandare alle Camere il testo della legge. Chiunque può scrivere una lettera fino a 5000 caratteri al nostro Presidente tramite il suo sito istituzionale, una possibilità che mi fa sentire ancora di più le nostre istituzioni democratiche un patrimonio da difendere.

La lettera l’ho conclusa così:

“Signor Presidente, Lei ha accettato malvolentieri ma con grande spirito di servizio il suo secondo mandato e per questo nutro per Lei rispetto e gratitudine. Sebbene negli stretti termini formali non vedo come il Presidente possa rimandare alle Camere un testo approvato praticamente all’unanimità, peraltro su un tema che parrebbe come relativamente minore, rispetto ai tanti serissimi di attualità, tuttavia proprio in questo momento ‘di guerra’ mi sento di chiederle, come garante dello spirito della nostra Costituzione, di riflettere a fondo e non firmare questa legge.

Gli Alpini meritano senz’altro una giornata che ricordi il loro sacrificio. Ma questa giornata deve esprimere i valori emersi dalla Resistenza. Sono tante le battaglie che si possono trovare, alcune anche ‘civili’ come nelle tante emergenze nazionali dal Vajont ai terremoti dell’Irpinia dell’Aquila ed Amatrice.

La prego, con il cuore del bambino che sogna il cappello con la penna nera ed il moschetto, rimandi indietro questa legge e chieda al Parlamento di trovare una data che ci rappresenti”.

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