“Scusi, sarebbe possibile modificare il mio titolo?”
“In che senso, Signorina?”
“Sul mio attestato c’è scritto INVENTORE”.

Vorrei scrivere al Ministero dello Sviluppo Economico per far presente che per il titolo di «inventore», riconosciuto ufficialmente a livello internazionale, manca l’accezione femminile. Ma il peso di questa mancanza, non sta solo nella desinenza di una parola. Dentro a questo peso ci sono aspettative, ambizioni, sogni e sudore di donne, la cui voce sembra non essere ancora ascoltata.

Lo ha dimostrato anche la Microsoft, in uno spot realizzato in occasione dell’8 marzo: ad un gruppo di bambine viene chiesto di elencare nomi di inventori, ma nessuna di loro conosce nomi di inventrici. Eppure Martha Coston ha inventato i segnali di fuoco, Mary Anderson i tergicristalli, Sarah Mather il telescopio subacqueo, Ada Lovelace il primo algoritmo del computer, Stephanie Kwolek il materiale del giubbotto antiproiettile (oltre 87 milioni di queste invenzioni le potete trovare qui). Inventrici delle quali le bambine non avevano mai sentito parlare, imparando ad associare l’immagine dell’inventore alla figura di un uomo.

In Italia, però, solo il 17% dei brevetti coinvolge una donna e, questa scoraggiante percentuale, non dipende dal fatto che le donne inventano meno degli uomini, anzi. Il problema, in Italia, è che siamo ancora tra gli Stati mondiali con la maggiore disparità di genere nel settore lavorativo, insieme al Giappone e al Sud Africa. Riguardo allo specifico tema delle invenzioni, vi consiglio questo approfondimento pubblicato per l’Ordine degli Ingegneri di Roma, la cui «presidentessa» ha il nome di Carla Cappiello. Chi lo avrebbe mai detto che circa 18.000 uomini potessero essere guidati da una donna?

Eppure nel 2020 si respira ancora l’incertezza di fronte all’uso di titoli femminili, rispetto a quelli storici maschili. Anzi, si avverte addirittura una presunta cacofonia di queste nuove forme o, ancora peggio, una convinzione che la forma maschile possa essere usata tranquillamente anche in riferimento alle donne. C’è diffidenza verso tali forme proprio perché femminilizzate, tanto più se da parte delle dirette interessate. 

Invece le donne, oggi, hanno voglia di parlare del proprio ruolo nelle professioni. La statistica ci dice che, ad esempio, nell’intenso panorama dell’architettura italiana le donne sono passate dal 32% nel 1998 al 42% nel 2015 e che, fra pochi anni, potremmo assistere ad un sorpasso. Questo dato non può e non deve passare inosservato. A percepirlo, tra le tante donne che si adoperano per il riconoscimento della propria posizione lavorativa, è stata l’Architetta Silvia Vitali, che ha lottato per far approvare una delibera dell’Ordine degli Architetti di Bergamo, grazie alla quale oggi è possibile, per la prima volta in Italia, chiedere il timbro professionale con la dicitura «architetta» al femminile.

Per arrivare ad un giusto corrispettivo di tutti i titoli professionali, la strada sicuramente è ancora molto lunga, ma bisogna iniziare a camminare prima o poi. E io voglio farlo da oggi, parlandovi finalmente delle donne in maniera propositiva e non, come troppo spesso siamo abituati a sentire da anni, parlando di donne intrappolate in mondi distopici, con società non sperabili e fortemente controllate. Voglio portarvi nel mondo delle invenzioni femminili che hanno cambiato la storia: perché un brevetto non ha genere, perché nel mondo delle idee le donne possono finalmente riconoscere il loro giusto ruolo.

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