È in corso a Roma una mostra che sta riscuotendo un notevole successo. Si tratta dell’esposizione dedicata all’Ukiyo-e, un termine giapponese che significa immagini del mondo fluttuante (letteralmente: uki, fluttuante; yo, mondo terreno; e, immagine, dipinto).

Si tratta di una raccolta di 150 opere, capolavori dell’arte giapponese di epoca Edo, tra il Seicento e l’Ottocento, prevalentemente dipinti a pennello su seta o carta e stampe realizzate in policromia con matrice in legno su carta seguendo la tecnica della silografia.

La grande novità dell’ukiyo-e erano i soggetti, completamente diversi dalla grande pittura al servizio dei potenti e dalle scuole classiche di Kyoto, in quanto a Edo divennero prevalenti gusti e mode della classe cittadina emergente composta prevalentemente da mercanti arricchiti.

I maestri del periodo Edo, Hokusai, valori estetici, educativi, culturali

I maestri del periodo Edo hanno contribuito a diffondere non solo l’arte, ma anche nuovi valori estetici, educativi e culturali in tutto il Paese e non solo.

Spiega Rossella Menegazzo, curatrice della mostra:

Dietro a rappresentazioni di un mondo di piaceri e intrattenimenti terreni spesso si celavano insegnamenti, concetti morali e messaggi che venivano passati abilmente, scavalcando la forte censura governativa che voleva colpire il lusso e le classi emergenti”.

Questo aspetto è particolarmente evidente nei ritratti dedicati alla bellezza femminile.

La rappresentazione della bellezza femminile diventa, attraverso l’hukiyo-e,

“veicolo di diffusione non solo di mode e valori nuovi, ma anche di concetti educativi e morali. Le donne di artisti come Utagawa Toyoharu e Kitagawa Utamaro sono raffigurate impegnate in attività artistiche come la pittura, la calligrafia, il gioco da tavolo di strategia, la poesia e la musica, considerate discipline chiave per la formazione di una persona colta”.

L’aspetto più interessante della mostra, oltre alla (ri)scoperta del Giappone tra Seicento e Ottocento, è la corrispondenza biunivoca tra arte orientale e arte occidentale e, in particolare, il profondo scambio culturale tra Italia e Giappone.

“Le opere in mostra ci raccontano quanto quella di Edo fosse una società alfabetizzata e come si usassero le arti come disciplina formativa dell’individuo. Ma ci raccontano anche l’apertura del Giappone all’Occidente e i rapporti speciali che il paese ebbe con il Regno d’Italia, poiché tutti i pezzi esposti provengono dalle collezioni di artisti o diplomatici italiani, i primi viaggiatori e residenti in Giappone nella seconda metà dell’Ottocento”. (Rossella Menegazzo).

La mostra, infatti, è costituita dai numerosi pezzi collezionati da due artisti italiani, lo scultore Vincenzo Ragusa e l’incisore Edoardo Chiossone, che furono invitati dal governo giapponese Meiji come formatori e specialisti nei primi istituti di grafica e arte.

Risulta così più comprensibile l’uso della prospettiva rinascimentale che si riconosce in alcuni dipinti in mostra, come, ad esempio, in Saggio mensile della scuola di Tomimoto Buzendayū II, di Kitagawa Utamaro.

Il tutto è inquadrabile in un più ampio scambio tra i due mondi.

Fino alle soglie del XIX secolo il Giappone era un paese isolato in cui era in vigore un editto che vietava agli stranieri l’ingresso nel Paese, ad eccezione degli scambi commerciali con Cina e Paesi Bassi. Solo dalla metà dell’Ottocento, con i trattati per la liberalizzazione degli scambi e l’apertura di nuovi porti agli americani ed europei, iniziò l’esportazione in Occidente dei primi prodotti artistici orientali.

La diffusione della cultura giapponese

L’Esposizione Universale di Londra (1862) e le successive consentirono la conoscenza della cultura giapponese, tra oggetti d’uso comune e disegni a china, opere di arte calligrafica e sculture antiche. La diffusione di stampe e xilografie giapponesi era diffusa anche sotto forma di riproduzioni sulla carta da imballaggio delle spedizioni.

Claude Monet possedeva le stampe orientali e non stupisce la somiglianza tra le posture, ombrellini e abiti eleganti delle donne di Utamaro, Hiroshige e Keisai Eisen con quelle delle dame francesi da lui ritratte.

Edgar Degas dimostra quanto le geisha di Utamaro e le cortigiane di alto rango possano aver influenzato la sua pittura nei tagli prospettici profondamenti innovativi delle scene con danzatrici e delle donne che fanno la toeletta.

La rivista mensile Le Japon Artistique, totalmente dedicata all’arte giapponese, fondata dal collezionista, mercante e critico d’arte Samuel Bing fu fondamentale per lo stile prettamente grafico delle opere di Henri de Toulouse-Lautrec.

Alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento Vincent Van Gogh era ossessionato dal Giappone e dall’Ukiyoe.

Il suo desiderio era dipingere come un artista giapponese, vivere come un monaco giapponese e lavorare in un tipico paesaggio giapponese, che in qualche modo ricreò in Provenza, più precisamente ad Arles, nella casa gialla che avrebbe ospitato Paul Gauguin. La famosa serie dedicata ai girasoli, nonché i paesaggi, devono molto alle bellissime composizioni paesaggistiche di Hokusai e Hiroshige.

“Veduta di Arles con alberi in fiore”, Source: Wikimedia Commons

Paul Gauguin aveva con sé stampe giapponesi anche nel suo viaggio a Tahiti. La natura morta à “L’Espérance” di Paul Gauguin, dipinta nel 1901 in ricordo di Vincent Van Gogh quando viveva a Tahiti celebra l’amicizia tra i due anche attraverso alcuni oggetti amati e condivisi, tra cui una ciotola giapponese.

Le bellissime composizioni paesaggistiche di Hokusai (1760-1849) e Hiroshige (1797-1858) esposte ci sembrano familiari proprio perché le abbiamo introiettate anche attraverso le opere degli impressionisti e dei post-impressionisti.

Utagawa Hiroshige, “Il monte Fuji sulla sinistra sulla via del Tōkaidō”, dalla serie
Trentasei vedute del Fuji

Infine, la Grande Onda di Hokusai, pezzo forte della serie Trentasei vedute del monte Fuji, vero polo di attrazione della mostra (meritoria della fila che si forma per poterla ammirare).

“La grande onda di Kanagawa”, source: Wikimedia Commons

In essa Hokusai fa grande uso del blu di Prussia, dimostrando il grande successo che ebbe questo colore europeo quando venne introdotto sostituendosi al più costoso blu lapislazzuli.

Tre barche di pescatori nel mare burrascoso sintetizzano l’eterna sfida tra l’uomo e la natura, che prende le sembianze di una gigantesca onda, simile ad un mostro con artigli, in procinto di divorare le imbarcazioni. In lontananza si vede il Monte Fuji, simbolo del Paese.

La potenza evocativa di questo dipinto ha avuto la sua eco fino ai giorni nostri, dall’Art Nouveau alla Pop Art di Andy Warhol, fino ai mangaanime, quest’ultimi ricordati nell’ultima stanza dell’esposizione, a testimonianza di una connessione e fascinazione tra due mondi lontani che dura nel tempo.


Il mondo fluttuante. UKIYO-E. Visione dal Giappone
20 febbraio – 23 giugno 2024 Museo di Roma a Palazzo Braschi
A cura di Rossella Menegazzo
Con la collaborazione del Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova e il Museo delle Civiltà di Roma

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