La neurodiversità, intesa come biodiversità neurologica, è una variabile che caratterizza ciascuno di noi. Nel mondo della neurodiversità umana, la maggior parte delle persone presenta una struttura neurologica standard, ossia con caratteristiche (statisticamente parlando) maggiormente frequenti rispetto ad altre. Tali persone possono quindi anche essere definite neurotipiche.

Altre persone, invece, presentano delle differenze nel funzionamento neurologico rispetto a ciò che è considerato tipico o standard, ossia possono essere definite neurodivergenti, ovvero, neuroatipiche.

Se si converge sull’uso di questa terminologia (non unanimamente accettata), coniata negli anni ’90 dalla sociologa e attivista per i diritti delle persone autistiche Judy Singer, potremmo sinteticamente affermare che gli esseri umani sono tutti neurodiversi e una parte di loro (statisticamente, un 15%, 20% circa) sono neurodivergenti.

La neurodivergenza si manifesta in modalità assai differenti, sia per caratteristiche che per intensità. In alcuni casi può essere lieve, in altri più accentuata, ed è un insieme che include profili atipici derivanti da differenze specifiche del neurosviluppo. In questo insieme può quindi ricadere l’ampio spettro autistico, la sindrome di Tourette, l’ADHD (deficit d’attenzione e iperattività), ma anche la dislessia, la discalculia, la disgrafia.

La neurodivergenza non è una malattia

Partendo dall’approccio che la neurodivergenza non debba essere considerata come una malattia, o una disabilità, creare una conoscenza e stabilire un contatto con questo mondo, fatto di diversi metodi di apprendimento e di elaborazione delle informazioni, può essere fonte di notevole arricchimento per tutti, neurotipici o meno.

Se i punti di vista inusuali delle persone con neurodivergenza possono essere valorizzati nell’ambito lavorativo, individuale o di gruppo, per via delle soluzioni innovative che possono apportare, l’arte, da sempre luogo dell’oltre, non può non essere lo spazio dove questa dimensione trova la sua collocazione più ideale.

Matthew Wong (1984-2019) era un pittore autodidatta canadese, di origine cinese. In pochi anni, e postando i suoi lavori sui social media, fu in grado di catturare l’attenzione della critica e del pubblico, attraverso quadri popolati da paesaggi e nature morte che vennero subito paragonati a opere di nomi illustri del passato, quali Édouard Vuillard o Vincent Van Gogh.

Solitude, 2018, Blue View by Matthew Wong, Art Gallery of Ontario, AGO, 317 Dundas Street West, Toronto, ON
“Solitude”, 2018. https://www.flickr.com/photos/snuffy/51603214369/in/gallery-amieo2-72157720417274647/

Nonostante l’uso di una tavolozza estremamente vivace, che ha finito col classificarlo come un pittore nouveau Nabi, le sue tele ci suggeriscono immediatamente la sensazione di un mondo altro in cui una figura solitaria, forse lo stesso artista, si muove.

Blue 2018, Blue View by Matthew Wong, Art Gallery of Ontario, AGO, 317 Dundas Street West, Toronto, ON
“Blue”, 2018, https://www.flickr.com/photos/snuffy/51591423848/in/album-72157720011851964/
Unknown Pleasures 2019, Blue View by Matthew Wong, Art Gallery of Ontario, AGO, 317 Dundas Street West, Toronto, ON
“Unknown Pleasures”, 2019,https://www.flickr.com/photos/snuffy/51592646574/in/album-72157720011851964/

Matthew Wong era nello spettro dell’autismo ed aveva la sindrome di Tourette. Se la fine precoce di questo pittore rende impossibile delineare compiutamente la sua ricerca artistica, il mercato dell’arte non finisce di essere in fibrillazione per le sue tele, motivo per cui è stata coniata l’espressione Wong fever, che legittima la sua collocazione tra i primi 10 artisti ultracontemporanei ancora nel 2022, alimentando un fenomeno in netta crescita negli ultimi anni.

La storia di Matthew Wong, aldilà delle speculazioni del mercato, costituisce un classico esempio di affermazione artistica e professionale importante, che dovrebbe farci riflettere ulteriormente sulla ricchezza creativa nata e cresciuta nell’ambito della neurodivergenza, nonchè sul ruolo dell’arte, intesa come possibilità di superare confini e mettere in contatto mondi diversi.

A Roma c’è uno spazio, la galleria Ultrablu, che dal 2017 promuove attività artistiche e culturali generate dalla (neuro)diversità e dalla neurodivergenza.

Lo spazio include una libreria diversalista, un café-cocktail bar, e, soprattutto, un laboratorio, visibile fin dall’entrata grazie al divisorio in vetro, nel quale giovani artiste e artisti sviluppano la propria ricerca in ambiti differenziati (collage, pittura, scrittura, disegno su carta e in digitale, fumetto, video e animazione).

“Con ostinazione si fa strada il tentativo di relativizzare l’angolazione rispetto alla quale guardiamo le cose e percepiamo gli altri, grazie all’incipiente consapevolezza che la nostra prospettiva sia condizionata, posizionata, non trasparente”.

Il laboratorio di Ultrablu

L’allestimento dello spazio Ultrablu, molto funzionale ed accogliente, rende bene l’idea che è alla base del progetto: cercare di superare i confini netti e determinati, promuovendo le attività artistiche dei suoi frequentatori, nonché lo sviluppo/completamento di una istruzione e di una professionalità più difficilmente raggiungibile attraverso altri canali istituzionali.

Le persone con neurodivergenza spesso non riescono ad avere una loro collocazione ufficiale sociale, proprio perché non sono sono riconosciuti in grado di raggiungere gli obiettivi minimi necessari per il conseguimento di un attestato scolastico.

Il luogo, grazie all’organizzazione di mostre ed eventi, offre l’opportunità di un incontro/confronto tra la neurodivergenza e la (neuro)diversità, promuovendo il lavoro creativo e la socializzazione, nonché

“lo sviluppo di strumenti critici, di nuovi linguaggi per il contemporaneo, in grado di interagire coerentemente con la diversità – forse l’unica caratteristica che descrive gli esseri viventi in modo omogeneo”.

Da poco è finita la mostra Lontano vicinissimo ultrablu, il progetto espositivo che ha anche inaugurato la nuova sede della galleria d’arte, frutto delle attività del laboratorio e di un lungo processo curatoriale.

“Lontano vicinissimo ultrablu”

Il progetto continua, con ulteriori esposizioni ed eventi che stanno catturando l’attenzione dei media (inclusa la RAI), e la mostra Lontano vicinissimo ultrablu sarà al Teatro del Lido di Ostia dal 6 al 30 aprile prossimo nell’ambito dell’iniziativa Teatri in Comune 2022-2023, organizzata da una rete di spazi per lo spettacolo di Roma Capitale.

Un grazie speciale a Virgilio Mollicone e a Sole per la loro disponibilità.

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