La notte è il mio giorno preferito, in scena dall’8 al 10 Luglio al Festival di Santarcangelo, è una riflessione sul rapporto con l’Altro che si sviluppa attraverso una meditazione sugli animali e gli ecosistemi in cui essi vivono. Incontriamo, per parlarne, Annamaria Ajmone danzatrice e coreografa.

Il suo spettacolo prende vita da una frase di Emily Dickinson, ci racconti cosa l’ha ispirata e quanto la poesia animi il lavoro.
La scelta del titolo è arrivata in ultima istanza, a spettacolo quasi concluso: è tratto da una delle lettere di Emily Dickinson, scritta nel 1883, e si riferisce nello specifico al buio come luogo dell’intuizione e dell’incontro con L’Altro. Lo spettacolo, infatti, nasce dal desiderio di indagare la relazione con l’Altro, attraverso una meditazione sugli animali selvatici e gli ecosistemi nei quali essi vivono.

Il mondo animale ha un ruolo chiave nella performance: in che senso?
Lo spettacolo prende spunto dalla pratica, delineata da Baptiste Morizot nel saggio ‘Sur la piste animale‘, del tracciamento filosofico: l’esercizio di seguire le piste attraversate dagli animali selvatici nel tentativo di prenderne in prestito lo sguardo e intuirne le possibilità d’azione. In questo modo possiamo provare a modificare il nostro sguardo ed entrare in contatto con altre forme di vita. Siamo abituati a muoverci sulla terra attraverso le piste che noi umani abbiamo costruito, quindi seguendo sempre il nostro modo di percepire lo spazio. Seguire le tracce e i segni degli animali selvatici ci allena a perdere l’orientamento e a sviluppare un nuovo modo di muoverci e relazionarci con lo spazio in cui siamo immersi e che coabitiamo con altre creature.

Un cenno su come ha collaborato con il suo gruppo di lavoro. 
Diverse artiste e artisti, studiose e studiosi hanno preso parte, su invito, alla costruzione dello spettacolo. Si tratta di un lavoro collettivo, non invito nessuno a realizzare qualcosa per me, ma a fare un viaggio con me attraverso un’idea di partenza che propongo e che poi viene sviluppata assieme. È un processo affascinante quanto faticoso, ma per me è veramente importante creare luoghi di scambio; mi annoio così tanto di me stessa che mi piace non sapere bene dove arriverò, e sforzarmi assieme ai miei colleghi di mantenere un equilibrio tra sguardi, sensibilità e visioni. Faccio questo mestiere innanzitutto perché mi piace fare le cose con le altre persone. Nello specifico per questo spettacolo, la ricerca è incominciata con Stella Succi, storica dell’arte e ricercatrice, con cui abbiamo impostato la ricerca teorica poi si è aggiunta Natalia Trejbalova, artista visiva, Flora Ying Wong, musicista e scrittrice, Giulia Pastore, light designer, Jules Goldmisth, costumista.

Grazie al Festival Far di Nyon, e a Veronique Ferrero Delacoste, abbiamo avuto l’opportunità, di fare l’esperienza del tracciamento dei lupi, seguendo il lavoro di un gruppo di etologi nella Jurà in Svizzera. Durante un’altra residenza in Val d’Illiez’, abbiamo incontrato diversi esperti, un ingegnere forestale, la rappresentate del wwf, un pastore e un contadino, i quali ci hanno insegnato a leggere l’ecosistema nel quale eravamo immersi.

Al processo si sono unite anche Paola Stella Minni e Veza Maria Fernandez che ci hanno aiutati a sviluppare le pratiche su cui in seguito abbiamo costruito lo spettacolo. In ultimo si è aggiunta Elena Vastano, che segue il lavoro in turné e che mi aiuta ad adattarlo nei diversi luoghi e piazze.

La connessione con la natura fa pensare a un’arte tribale, quasi sciamanica: su quali ispirazioni basa la sua ricerca?
L’arte tribale e sciamanica non sono tra le mie ispirazioni. Le fonti e le pratiche svolte per costruire questa ricerca sono per lo più scientifiche, filosofiche e letterarie.

Il curriculum di Annamaria Ajmone parla di numerose collaborazioni estere: dove lavora meglio e perché?
Ci sono luoghi dove le politiche sociali hanno aiutato a sviluppare maggior rispetto, cura e tutela dei lavoratori e delle lavoratrici dell’arte. Io ho costruito la mia vita qui in Italia, e per ora sono qui, mi piace, l’ho scelto. Non amo l’esterofilia italiana, ma nemmeno voglio dire che qui le cose vanno bene. No, non vanno bene, ma c’è una comunità di artiste e artisti che come me resiste e combatte, si può tentare ed è necessario farlo.

Condividi: