Le madri non dormono mai è il titolo di un libro stupendo di Lorenzo Marone, ma è anche una verità inconfutabile che racconta, come fa la storia dell’autore, il rapporto inscindibile tra la madre e i figli che mette al mondo. È anche un romanzo sul senso della libertà, la sua capacità di costruirsi, la sua capacità di svilupparsi, la sua capacità di contrapporsi.

Nella traslazione degli spazi e dei pensieri si sviluppa un dialogo intenso e commuovente tra i desideri dei bambini di madri condannate a pene detentive e la durezza di contesti urbani emarginati ed emarginanti, dominati dal principio della forza e delle regole spigolose, talvolta crudeli, che costruiscono il codice delle relazioni tra bambini o adolescenti. 

È in quel momento della vita che avvengono le prime sperimentazioni al di fuori delle consuetudini familiari e si accumulano violacei lividi nell’anima che impiegano del tempo per essere riassorbiti, lasciando sulla superficie del tempo l’orma del loro passaggio.

È tutto così incomprensibilmente complesso crescere e affacciarsi, nel mondo che c’è fuori, senza indossare l’armatura dell’esperienza che rende meno fragili e più protetti dalle prove del vivere e della società.

Eppure, anche nei primi anni di vita, l’assoluta meraviglia dell’ignoto che affrontiamo ogni giorno ci conduce naturalmente in avanti per trovare ciascuno la propria identità, il proprio spazio nel mondo, il desiderio possente di essere riconosciuti per le nostre qualità che, il più delle volte, non conosciamo neppure noi. 

Le contraddizioni raccontate
da Le madri non dormono mai

Il libro racconta molteplici contraddizioni che, talvolta si accalcano dentro la stessa esistenza e che sembrano trovare nutrimento le une dalle altre, fino a quando interviene qualcosa che interrompe il circolo vizioso. Se nasci in un contesto difficile e nessuno si occupa di te è più facile che diventi più fragile e coltivi un sentimento di inadeguatezza e di ingiustizia che ti farebbe pretendere una compensazione.

Ed invece di essere ristorato, per aver subito gli effetti di scelte che non ti appartengono, vieni ancora più penalizzato da circostanze negative che hanno preceduto la tua nascita e che sembravano aspettarti, beffarde!

Così accade ai figli di donne che hanno commesso dei reati di essere vittime due volte, per non poter essere accuditi dall’amore materno e per essere al contempo relegati ai margini della società che cuce loro sul petto la lettera scarlatta.

Per queste bambine e per questi bambini la lotta per la sopravvivenza diventa feroce e ingiusta; ne escono perennemente sconfitti da chi conosce il sapore dolcissimo dell’essere accuditi, ascoltati e spensierati portandoli a restringere gli spazi di libertà ai  momenti di solitudine.  

La libertà per un bambino è prima di tutto quella che si costruisce nel rapporto con la madre e che fonda la struttura di quelli che si ripeteranno nella vita successiva, certo trasformati, certo interpretati, certo costruiti su basi diverse e diversissime talvolta, ma che in qualche modo ne assumono la cifra emotiva, ne ripetono l’essenza.

Diego, nel romanzo, impara a sentirsi libero proprio nel luogo di massima privazione di tutte le libertà, come sanzione a comportamenti passati: il carcere. E non che Diego abbia commesso qualche reato, ma perché la mamma Miriam è stata condannata a scontare una pena in uno spazio che, in qualche modo, diventerà meno disumano del mondo esterno.  

Le madri non dormono mai commuove fino alle lacrime per la potenza delle suggestioni che suscita e per l’apertura a questioni che oggi sono considerate residuali, ma che al contrario investono e condizionano l’umanità intera: le nostre origini, la maternità, l’educazione, la vita sociale, il modello di educazione, la sostenibilità sociale.

Viviamo nell’epoca delle più variegate libertà, talvolta bizzarre, tanto che ciascuno pensa di potersi costruire la propria per l’incontenibile voglia di libertà anche a dispetto di quella degli altri, ma poi non si creano le condizioni umane e sociali affinché la parte migliore della società, le bambine ed i bambini, possano sviluppare sé stessi in una complessa sì, ma necessaria, società delle pari opportunità.

Per progredire non si possono dimenticare i fondamentali che determinano l’essere umano e che sono tutti racchiusi nella Costituzione del 1948 scritta con un linguaggio accessibile a chiunque, lontano dal cavillotico giuridichese così tanto antipatico da creare distanza e diffidenza.
Sarebbe dunque necessario che una copia della carta costituzionale, almeno nella prima parte, si trovasse su ogni comodino, su ogni mezzo pubblico, in ogni sala d’attesa, su ogni quarta di copertina, in ogni condominio, su ogni azione che compiamo per noi, per gli altri. 

Forse con maggiore e profonda coscienza collettiva potremmo assicurare un po’ di ristoro alle madri che non dormono mai e riappropriarci di una concezione di libertà universale che sia meno individualista e, pertanto, in grado di diffondere maggior benessere. 

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