Il tema che vi propongo è di quelli complessi, persino controversi, e riguarda il reddito di base incondizionato o RBI, come cita la sigla dell’iniziativa dei Cittadini Europei approvata dalla Commissione Europea per la fase di raccolta firme a maggio 2020.

A due anni dalla pubblicazione, il termine per aderire ha una data di scadenza è ormai molto vicina: il 25 giugno 2022.

Chiediamo alla Commissione Europea di presentare una proposta relativa a redditi di base incondizionati in tutta l’Unione che riducano le disparità regionali al fine di rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale nell’UE.

dal sito dell’iniziativa, Europa.eu

Reddito di base incondizionato:
cosa significa

Partiamo dalle basi: abbiamo ormai familiarizzato con il concetto di reddito di cittadinanza, introdotto in Italia con il Decreto Legge n.4 del 28 gennaio 2019.

Il reddito di base incondizionato ne rappresenta un’ulteriore evoluzione: si tratta di un’erogazione monetaria a intervalli di tempo regolari rivolta a tutti i cittadini e le cittadine o residenti in un dato territorio (nel nostro caso, l’Europa), indipendentemente da altre forme di reddito o dal patrimonio.

In altre parole: una somma uguale per tutti, da ricevere periodicamente nell’arco dell’intera vita, senza distinzione di occupazione, sesso, credo religioso, posizione sociale e slegata dall’attività lavorativa. Un contributo da non intendersi simbolico: deve consentire un tenore di vita dignitoso, e quindi attestarsi al di sopra della soglia di povertà stabilita dalla normativa europea

Ciò porterà a conseguire l’obiettivo della dichiarazione comune del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea, formulata nel 2017, secondo cui l’UE e i suoi Stati membri sosterranno inoltre regimi di previdenza sociale efficienti, sostenibili ed equi per garantire un reddito di base al fine di combattere le disuguaglianze.

dal sito dell’iniziativa, Europa.eu

Reddito di base incondizionato:
dove trovare i finanziamenti?

“Chi paga?” è la domanda, spesso provocatoria, più frequentemente posta a contrasto di questa proposta. A primo impatto infatti, anche solo ragionando per il territorio italiano, pensare di devolvere a ogni cittadino una simile somma porta immediatamente a considerare un corposo ed indiscriminato aumento della pressione fiscale. Un circolo senza fine e apparentemente senza benefici, sufficiente ad accantonare il dibattito sul tema. 

Un tentativo di guardare oltre alle logiche politiche ed economiche attuali arriva da Andrea Fumagalli (economista) Sandro Gobetti (ricercatore sociale), Cristina Morini (giornalista) e Rachele Serino (ricercatrice), che nel libro Reddito di base. Liberare il XXI secolo affrontano in maniera ampia la questione, fornendo non un modello applicabile, ma degli elementi oggettivi per guardare il problema da un diverso punto di vista.

Lo strumento del reddito può consentire di ri-concentrarci su noi stessi e sui nostri effettivi bisogni, è la chiave di volta necessaria per ricominciare a mettere seriamente a critica un sistema che non può essere riformato. Può favorire la riscoperta e la ricostruzione del senso della vita (e forse anche del lavoro) e delle libere attività umane.

dall’introduzione di Reddito di base. Liberare il XXI secolo

Il libro non fornisce dirette spiegazioni circa le strategie di finanziamento, ma affronta la questione mettendo in luce come questa capacità in Europa sia già esistente. Ne sono esempi recenti i finanziamenti del Quantitative Easing, o il Recovery Plan. Quello che manca quindi, non sarebbe il denaro, ma un’equa distribuzione di tale ricchezza.

Non un addio al lavoro, ma un incentivo all’autodeterminazione personale

Nel volume vengono anche analizzati diversi progetti pilota, realizzati o in corso, con dati a sostegno della tesi per cui il reddito di base incondizionato non sia da intendersi come una forma di assistenzialismo volta al mantenimento di uno status di nullafacenza per la popolazione, ma una garanzia e un incentivo al diritto di autodeterminazione di ogni persona che, se libera dal vincolo di dover provvedere al sostentamento di sé e dei familiari, si troverebbe libera di costruire un percorso di vita e lavoro con dignità e libertà di scelta, a partire dall’equiparata condizione economica.

Proprio sulla base di questi principi si muove l’iniziativa dei Cittadini Europei che ha raccolto per ora poco più di 254.000 firme. Non abbastanza per raggiungere l’obiettivo finale di un milione, che deve essere diviso equamente tra i diversi Paesi membri dell’UE. Per ogni Stato è stata infatti fissata una soglia minima da raggiungere e, per poter passare al vaglio della Commissione Europea, almeno 7 Paesi devono superarla.

Al momento solo Italia, Slovenia e Spagna hanno superato la propria soglia minima. La Germania è molto vicina all’obiettivo (più del 93%) ma gli altri Stati hanno percentuali di adesione molto basse che, salvo campagne dell’ultimo momento, fanno pensare che non sia ancora tempo per le Istituzioni di affrontare questo argomento.

Personalmente non sono certa che questa sia la strada che ci porterà a riformare le nostre idee di lavoro, reddito e società: sono però convinta che approcciare il nostro attuale sistema  partendo da un punto di vista così diverso da quello a cui siamo abituati possa aprire una seria riflessione circa le carenze in cui viviamo, favorendo un dibattito che conduca a una società più equa nel prossimo futuro.

Vuoi aderire alla raccolta firme? Qui il link con tutte le informazioni. Ricordati che serviranno i dati della tua carta d’identità o del tuo passaporto in corso di validità.

Condividi: