Sojourner Truth, al secolo Isabella Baumfree, nasce a New York alla fine del Settecento, in stato di schiavitù. A nove anni, viene venduta all’asta insieme a un gregge di pecore per cento dollari a un padrone crudele che la violenta e la picchia. 

Passa per diversi anni di padrone in padrone. Poi si innamora di Robert, lo schiavo di una fattoria nei dintorni. Il padrone di Robert però non accetta la relazione, perché i figli non sarebbero in suo possesso. Lo schiavo viene selvaggiamente picchiato e muore. Isabella fa cinque figli (sul numero dei suoi figli, così come sulla sua età ed altre notizie della sua vita ci sono informazioni contrastanti), e li fa con uno schiavo più vecchio di lei, che il suo padrone l’ha costretta a sposare.  

Nel 1827, lo stato di New York, dove lavora, abolisce la schiavitù ma il suo padrone temporeggia. Isabella decide di scappare con la figlia più piccola e riesce a liberarsi. Con enorme sofferenza è costretta ad abbandonare il resto della prole ma solo temporaneamente.

Viene a sapere che uno dei suoi figli, di cinque anni, è stato venduto in Alabama, dove subisce violenze. Isabella inizia una battaglia legale e, nel 1828, vince la prima causa della storia in cui una donna di colore reclama a sé il figlio schiavo.

Sojourner Truth, colei che abita la verità

Riprende completamente in mano la sua vita ma non si accontenta della libertà, vuole lottare contro l’ingiustizia. È a questo punto che Isabella assume una nuova identità e diventa Sojourner Truth, che significa colei che abita la verità. 

Diventa metodista e inizia a impegnarsi pubblicamente per l’abolizione della schiavitù e della pena di morte, per il suffragio, per i diritti delle donne e la riforma del sistema carcerario. È un’attivista di spicco, instancabile, inarrestabile. 

Tiene decine di discorsi pubblici, finendo spesso al centro di critiche e polemiche per le sue posizioni nette sui diritti. Le sue idee non sono mai accomodanti. Nel 1858, qualcuno interrompe uno dei suoi discorsi e la accusa di essere un uomo; per tutta risposta lei si apre la camicetta e mostra i seni

Nel 1864, riesce ad avere un incontro con il presidente Lincoln al quale espone le sue idee illuminate. Proprio mentre si trova a Washington, stanca di sopportare la segregazione sui mezzi pubblici, all’ennesimo rifiuto di un autista di farla salire, blocca la strada e aiutata dalla folla sale a forza sull’autobus, contribuendo con questo suo gesto plateale alla fine di questa odiosa forma di discriminazione a Washington.  

ll 29 luglio del 1851 partecipa al congresso sui diritti delle donne ad Akron in Ohio, e il suo potente discorso in risposta alle esternazioni di un ometto, più di un secolo prima del più famoso “I have a dream” di Martin Luther King, è una delle pietre miliari della lotta dei diritti degli afroamericani e pone le basi del concetto di intersezionalità.  

Non sono forse io una donna?

“Non sono forse io una donna?”, è la domanda provocatoria che lancia al Convegno: il fatto di essere nera, di essere una ex schiava, di non essere istruita la rende forse meno degna di essere chiamata donna e di reclamare gli stessi diritti delle altre donne? 

Questa frase verrà ripresa nel 1981 da bell hooks, scrittrice e attivista afroamericana che si firmava con le iniziali minuscole per togliere l’attenzione dal suo io e dirottarla verso le sue idee, come titolo di un libro cruciale sui diritti delle donne e sulla discriminazione razziale (un must read davvero Non sono una donna, io – Donne nere e femminismo pubblicato da Tamu Edizioni). 

Ecco uno stralcio del discorso di Sojourner Truth che pone, almeno nei contenuti, le basi di un femminismo intersezionale che mette in luce la complessità delle nostre identità, nella convinzione, come dice bell hooks nei suoi scritti che “razzismo e sessismo sono sistemi interconnessi di dominio che si rafforzano e si sostengono a vicenda”.

“Bene, c’è un tale fermento che qualcosa deve uscirne fuori. Credo che a furia di dare addosso ai neri del Sud e alle donne del Nord, tutti che parlano di diritti, gli uomini bianchi saranno presto nei guai. Ma di cosa si sta parlando qui?  Quell’uomo laggiù dice che una donna deve essere aiutata a salire in carrozza e sollevata per oltrepassare i fossi, che deve avere ovunque il posto migliore. 
Nessuno mi ha mai aiutata a salire in carrozza o ad attraversare pozzanghere di fango o mi ha dato il posto migliore. 
E non sono io forse una donna? 

Guardatemi, guardate il mio braccio! Ho arato e seminato. E riempito i granai e nessun uomo poteva tenermi testa. 
E non sono io forse una donna? 
Potevo lavorare tanto e mangiare tanto quanto un uomo – quando riuscivo a mangiare – e sopportare anche la frusta. 

E non sono io forse una donna? 
Ho fatto nascere tredici figli e li ho visti venduti quasi tutti come schiavi e quando ho gridato il mio dolore di madre nessuno mi ha ascoltata se non Gesù. 
E non sono io forse una donna? 
Quell’ometto vestito di nero dice che una donna non può avere gli stessi diritti di un uomo perché Cristo non era una donna. 
Da dove è arrivato il tuo Cristo? 

Da Dio e una donna! 
L’uomo non ha avuto nulla a che fare con lui! 
Se la prima donna che Dio ha creato è stata forte abbastanza da capovolgere il mondo tutta sola, insieme le donne dovrebbero essere in grado di rivoltarlo ancora, dalla parte giusta”. 

Guardatevi qui la bellissima lettura fatta dalla poeta nera Alice Walker di questo discorso.

Articolo a firma di Beatrice Gnassi, vicepresidente dell’associazione Uniche ma plurali e traduttrice dall’inglese per la casa editrice Le Plurali.

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