La distesa di oceano su cui naufragare nei nostri pensieri è il sunto di una estate che ha visto la mia penna riposare, volutamente. Nel nostro cammino condiviso nel verso è necessario a mio avviso soffermarci ed assaporare il vento dei passi perduti.

I festival Argini e Cautano in Poesia sono stati passi importanti compiuti nella poesia italiana insieme al sempre presente Stefano Tarquini. Due festival che hanno visto protagonista la parola rinnovata e che hanno scrutato nello scrivere poetico, una menzione speciale va a Gabriele Cioppa, vincitore del premio nazionale Young Poet, e ad Irene Berretta vincitrice del premio nazionale Simonetta Lamberti.

Il tepore autunnale dona nuova linfa alla penna e la tabula rasa si ricolma dei pensieri in tempesta che a lungo hanno riposato e vede, soprattutto, il programma radiofonico Read(y) approdare alla terza stagione su Radio Kaos Italy ( tutti i mercoledì dalle 18.00) e ci permette di continuare la nostra ricerca nella crasi perfetta tra poesia e musica.

La mia conversazione con il giovane artista emergente Wepro è una perfetta sintesi del sentire poetico a cui tendiamo nel nostro cammino condiviso nel sapere.

Come nasce Wepro, quale è la matrice di questo nome e a cosa guarda il tuo percorso artistico?
Il nome mi ha scelto, non l’ho fatto io. Wepro è un soprannome che porto dietro da quando avevo 14 anni, nato dall’unione delle iniziali delle parole Wedding Project, una band che avevo quando ero più piccolo (nulla a che vedere con i matrimoni, il nome ci piaceva e basta).

Il mio percorso artistico è stato sempre molto eclettico, non sono mai riuscito ad incasellarmi in qualcosa di preciso, è una cosa molto limitante per chi è incontenibile.

Ho sempre spaziato su diversi generi anche se l’attitudine è sempre rimasta quella rock (inteso più come faccio quello che mi pare, e non per forza un qualcosa agganciato al giubbottino di pelle e alle chitarre) cercando di dare facce nuove a quello che può essere considerato vecchio, come anche il rock stesso in questo caso, è una sfida bellissima.

La penna che accompagna la melodia una crasi del pensiero poetico e musicale che genera i tuoi testi, cosa nasce prima nel tuo processo creativo?
La mia musica nasce da immagini o da film che creo nella testa, è questo l’unico modo in cui riesco a creare in maniera solida. Penso sempre alla musica che sento dietro a un immagine o ad una scena. Anche questo è un processo stupendo. Parto spesso dalla musica, penso abbia già le parole dentro di sé, il testo nonostante è una cosa che curo molto, è l’ultima cosa che scrivo e ci devo anche fare molta attenzione. Cerco sempre di essere diretto, ma di non dire troppo e tutto, è bello quando lascio all’ascoltatore la possibilità di creare il suo di film e non per forza di seguire necessariamente il mio.

Voce giovane, nel tempo e contro il tempo, quale è il luogo in cui Wepro esiste e trascende? Wepro è esistito, esiste ed esisterà. Cerco sempre di rendere tutto quello che faccio “universale”, usando un linguaggio testuale e sonoro non agganciato al tempo, evitando quindi di agganciarmi ad un momento preciso. Quello infatti che penso non si possa dire della mia musica è se è vecchia o nuova. Quest’ambiguità è la cosa che la renderà secondo me eterna.

Porre il nostro sguardo oltre il confine del finito, facendoci guidare da sonorità nuove e una voce fuori dal tempo, questo è Wepro al suo passaggio: una carezza ancora acerba che ci lascia in attesa.

Siamo viandanti, siamo nuvole in tempesta.

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