Il cinema iraniano: due film e un libro per capirne tutta l’inquietante bellezza
La capacità di indagare il tema della responsabilità morale e del senso di colpa. Questa è la forza del cinema iraniano.
La capacità di indagare il tema della responsabilità morale e del senso di colpa. Questa è la forza del cinema iraniano.
Sarà un caso, ma sempre più spesso mi ritrovo a scegliere film iraniani, e a rimanerne ammaliata. No, a pensarci bene non è un caso. La verità è che in un periodo in cui il cinema europeo sta vivendo una fase di ristagno e di appiattimento, il cinema iraniano conquista e seduce con pellicole coraggiose, capaci di esplorare le fragilità dell’animo umano e le difficoltà relazionali delle società contemporanee.
Prendete ad esempio il bellissimo film Il dubbio – un caso di coscienza, del regista e sceneggiatore iraniano, Vahid Jalilvand: la sua pellicola si interroga sul tema della responsabilità morale e del senso di colpa, e sulla constatazione che ogni nostra azione genera una conseguenza. Un tema affascinante, che pone ciascuno di noi davanti ad uno specchio interrogandoci su cosa faremmo al posto del protagonista.
E qui il protagonista è un medico anatomopatologo che involontariamente investe un motorino sul quale viaggia una famiglia composta da padre, madre e due figli. L’incidente sembra banale, senza conseguenze, ma dopo una settimana il medico si ritrova, nell’obitorio dove lavora, proprio il cadavere del bambino che aveva investito.
Lo assale il dubbio: la causa della morte può essere stato l’incidente della settimana precedente? L’esito dell’autopsia sembra scongiurarlo, perché pare attribuire ad avvelenamento la morte, ma al tempo stesso mette in crisi il padre del bambino, che da quella autopsia deduce sue responsabilità dirette. E’ morto forse per la carne di pollo avariata che lui stesso aveva comprato a buon mercato?
Il film riesce a mettere in luce le fragilità di entrambi i protagonisti della storia: le fragilità del medico, che tacendo sulla sua responsabilità nell’incidente complica la sua posizione, e quelle del padre che, cercando di farsi giustizia da solo con il venditore di polli, crolla in una condizione di irascibilità incontrollabile.
Le angosce e i tormenti dei due uomini si intrecciano, in una storia che riesce anche egregiamente ad evidenziare le palesi differenze economiche e culturali tra i personaggi, facendo luce sulle conflittualità presenti nel tessuto sociale iraniano. Classi sociali diverse, distanti, che non riescono a comunicare tra loro, caratterizzate da individui che restano diffidenti gli uni verso gli altri nell’impossibilità di comprendersi.
I dialoghi sono fitti, serrati, quasi teatrali, i lunghi piano sequenza danno respiro alla narrazione, le atmosfere sono algide ma non distaccate, i colori freddi tendono tutti alle tonalità del grigio, che più di ogni colore esprime cromaticamente il senso del dubbio.
Colpisce il rapporto tra i genitori del bambino, che non si toccano mai, in un distacco forzatamente enfatizzato per trasformarlo simbolicamente in un vuoto emotivo e sentimentale incolmabile. Un marito ed una moglie che neanche si sfiorano, in una mancanza di dialettica corporea esaltata dal chador che serve proprio ad isolare, ad alzare una barriera tra esseri umani.
Il film, premiato nella sezione Orizzonti alla 74° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, affronta temi molto cari al nuovo cinema iraniano, come quello delle relazioni familiari e sociali, già indagati da altri registi di grande capacità narrativa come Asghar Farhadi, Jafar Panahi, Abbas Kiarostami e Bahman Ghobadi.
Ma è soprattutto il tema del dubbio e della responsabilità morale a caratterizzare la cinematografia iraniana, come ci ricorda un altro bellissimo film, Melbourne di Nima Javidi, che racconta le vicende di una giovane coppia che sta per partire per l’Australia ma che improvvisamente viene trascinata in un evento inquietante e inspiegabile che li precipiterà nel dubbio e nell’angoscia.
Qui più che mai emerge non solo la difficoltà dei due protagonisti nell’affrontare l’imprevisto, ma anche la visione ancora molto patriarcale di un Paese in cui è sempre l’uomo a prendere le decisioni, anche quando non ne è capace perché si lascia sopraffare dalle sue paure.
Per approfondire la conoscenza del cinema iraniano vi consiglio un libro: Il sapore della bellezza. Il cinema iraniano e la sua poesia di Fulvio Capezzuoli. E’ un accurata panoramica sulla cinematografia di quel Paese con un’esaustiva bibliografia, che offre la possibilità di esplorare i generi principali, come il thriller, con un’analisi dettagliata e sofisticata.
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L’inquadramento adeguato della domanda indica una certa familiarità con l’argomento.