La cultura è la sola via per salvare ambiente e risorse agroalimentari: ve lo dimostro con 3 esempi
Solo con la cultura e l'informazione possiamo acquisire consapevolezza del mondo in cui viviamo e salvarlo dalla devastazione e dall'impoverimento.
Solo con la cultura e l'informazione possiamo acquisire consapevolezza del mondo in cui viviamo e salvarlo dalla devastazione e dall'impoverimento.
C’è un tema che a qualcuno potrebbe apparire ovvio e intuibile, e invece non solo è importante e necessario, ma addirittura dirimente, da ribadire sempre e comunque: il potere della conoscenza e della diffusione delle informazioni e la sua centralità nella battaglia a tutela di un agricoltura sostenibile e di qualità. Un tema, questo in discussione, che oggi vale ancor più di ieri.
La cultura – che qui voglio intendere in senso lato, quindi come diffusione e condivisione delle informazioni, come conoscenza e analisi di fatti, notizie e dati, ma anche come creatività, come arte e letteratura – ha la capacità di produrre consapevolezza del mondo in cui viviamo e delle sfide che ci attendono ed è quindi fondamentale per difendere il nostro territorio, per impedire la devastazione dell’ambiente e l’impoverimento delle risorse agroalimentari. E questo vale in modo particolare in un mondo così complesso e complicato come quello in cui viviamo, dove non è mai semplice capire come funzionano determinati meccanismi, quali sono le alternative. Per illustrarvi questo concetto comincerò con tre esempi concreti.
Il primo. Compassion in World Farming (CIWF) Italia Onlus (un’associazione italiana no profit che lavora esclusivamente per la protezione e il benessere degli animali allevati a scopo alimentare) ha incontrato tre comitati di cittadini che si oppongono alla realizzazione di mega allevamenti avicoli (scarica la galleria fotografica; guarda il video). Le storie sono state raccolte in varie zone e tutte raccontano dei disagi che l’allevamento intensivo comporta: deturpa il paesaggio, provoca problemi di salute, svaluta il territorio e ha un impatto devastante sulla qualità della vita delle persone, oltre a porre chiari rischi di biosicurezza.
Le storie raccolte da CIWF sono emblematiche: milioni di animali per poche migliaia di abitanti, comunità in difficoltà, ma consapevoli e pronte a lottare.
Altri comitati, oltre a quelli coinvolti, sono attivi in tutta Italia: è il segnale che una nuova consapevolezza sta nascendo fra i cittadini del nostro Paese, che stanno cominciando a comprendere – fronteggiando sofferenze e disagi – quali sono gli impatti di un sistema di produzione del cibo completamente distorto, con l’obiettivo di mettere fine all’allevamento intensivo e promuovere pratiche di allevamento rispettose del benessere degli animali, dell’ambiente e delle persone.
Si parla molto degli allevamenti intensivi e dei danni che fanno, ma non a sufficienza: si tratta di un tema centrale, importantissimo, che riguarda non solo la salute degli animali, ma anche la nostra. Ma è un tema anche complesso, difficile, nel quale spesso occorre confrontarsi con chi sostiene che l’allevamento intensivo sia necessario per mantenere l’attuale livello di consumi. Per questo dobbiamo essere informati. Per questo c’è bisogno di consapevolezza, quindi di conoscenza. Io stesso ne ho già parlato.
Secondo esempio. Il 2 novembre scorso 25 Associazioni e coalizioni di tutta Europa, tra cui per l’Italia la Coalizione CambiamoAgricoltura, hanno scritto una lettera alla Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen per chiedere di ritirare la proposta per la Politica Agricola Comune (PAC) post 2020 perché questa è troppo timida e distante, quindi inefficace, rispetto agli obiettivi ambientali stabiliti dalla stessa Unione europea. La riforma della PAC è il primo vero banco di prova del Green Deal proposto dalla Commissione: se gli obiettivi delle Strategie Biodiversità 2030 e Farm to Fork non verranno inseriti con coerenza nella Pac, sicuramente non potranno essere raggiunti e la transizione ecologica dell’agricoltura europea sarà un fallimento.
La richiesta delle Associazioni europee si unisce alla voce dei ragazzi di “Friday for Future” che con l’hashtag #WithdrawtheCAP stanno chiedendo alla Commissione Europea un’agricoltura non avvelenata che protegga il loro futuro in grado di contribuire seriamente alla lotta ai cambiamenti climatici.
Molti hanno sentito parlare della PAC, ma pochi sanno esattamente cosa sia e quali siano le sue logiche. La PAC è uno strumento fondamentale per il prosperare dell’agricoltura europea, ma, per come è organizzata e orientata oggi è ancora troppo poco attenta alle questioni relative alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e della qualità alimentare. Per poterla cambiare abbiamo bisogno di un consenso diffuso, consapevole, informato. Anche su questo tema si trovano molte informazioni. anche su rewriters.it.
Terzo esempio. Lo spreco alimentare costituisce un problema enorme e di rilevanza mondiale, che incide in modo significativo sull’approvvigionamento dei cibi e sulla sicurezza alimentare. Per sensibilizzare la popolazione mondiale al tema, la FAO ha istituito la giornata mondiale contro gli sprechi alimentari, che si tiene il 29 settembre di ogni anno. Anche l’Italia ha cercato di rispondere al problema in vari modi. In primo luogo con la legge n. 166/2016: “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”.
La Legge n. 166/2016 ha dato un ruolo cardine al Ministero delle politiche agricole, che ha predisposto dei bandi nazionali, per il finanziamento di progetti innovativi per la limitazione degli sprechi alimentari. In questi anni sono state svolte tre selezioni e assegnati più di 2 milioni di euro ai 40 progetti vincitori. Questi, proposti da soggetti pubblici e privati, no profit e di natura commerciale, hanno un taglio fortemente innovativo e sono molto vari: creazione di App che allertano il consumatore sui prodotti pronti alla scadenza; imballaggi intelligenti (edibili e/o conservanti); recupero di scarti e sottoprodotti, con smaltimento o reimpiego nei settori più diversi (quali estrazione di antiossidanti, produzione di protesi mediche, additivi alimentari, fonti energetiche alternative).
Ormai da alcuni anni, anche se non se ne è parlato abbastanza, non solo le istituzioni pubbliche (come il Ministero delle politiche agricole) ma anche altri soggetti (Università, onlus o imprese) si attivano per combattere gli sprechi alimentari. E lo fanno con iniziative creative, ingegnose, che dovrebbero godere di una maggiore pubblicità. Anche in questo caso sono la cultura, la conoscenza e i saperi che possono permetterci di invertire il trend dello spreco alimentare.
Tutti e tre gli esempi riguardano il tema dell’agricoltura, dell’alimentazione e dell’ambiente. E tutti e tre mostrano il fondamentale intreccio tra cultura, conoscenza, consapevolezza e azione. Per cui, puntando in modo forte sulla cultura e sulla diffusione di informazioni e conoscenza, si possono individuare soluzioni alternative ai processi attuali e si può favorire una cittadinanza più consapevole, che sia in grado quindi di impattare sul territorio in modo diverso da come fa ora, con un approccio più rispettoso, più olistico, più attento alla natura, alla biodiversità, all’ambiente. Al futuro.
Una comunità informata e consapevole sarà quindi disposta ad attivarsi, per cambiare e migliorare le cose che più le stanno a cuore. Tra cui, inevitabilmente, la difesa del territorio, dell’ambiente e dell’agricoltura di qualità ed ecologica. Questo settore, in particolare, combinando insieme diverse discipline (la biologia, l’agronomia, il diritto, la storia, l’ecologia e tante altre), è particolarmente complesso (e complicato). Ecco perché oggi più che mai occorre diffondere sapere e notizie sull’argomento.
Vorrei chiudere con una frase, di più di un secolo fa, che serve a farci rendere conto che dobbiamo aprire gli occhi, informarci, ragionare, pensare i luoghi in cui viviamo e quindi agire di conseguenza. Ebbene, nel 1918, Meuccio Ruini (ministro e senatore della Repubblica Italiana) scriveva:
“Se il mare, alzandosi di pochi metri, ricoprisse quel golfo di terra che è la valle padana, l’Italia sarebbe una sola e grande montagna”.
Se pensiamo al territorio in cui viviamo, al continuo consumo di suolo agricolo e ai pericoli derivanti dai cambiamenti climatici, tra cui lo scioglimento dei ghiacciai che comporta l’innalzamento dei mari, ecco che la frase iperbolica di Ruini rischia di divenire attuale. E in un paese di sole montagne come coltiveremmo la terra per produrre il cibo che mangiamo ogni giorno?
Ecco, di questo tema bisogna parlare sempre più spesso, che abbiamo lungamente fatto lunedì 23 novembre, dalle ore 18.00 alle 20.00, durante una diretta Facebook dal titolo “La cultura sostiene il territorio: come riscrivere questo rapporto alla luce della contemporaneità”. Un evento organizzato da Italia Nostra e ReWriters e patrocinato da numerosi enti.